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Il bilancio di Vinitaly

Sono oramai vuoti gli espositori che hanno incantato, in questi giorni a Verona, i palati di migliaia di persone

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Sono oramai vuoti gli espositori che hanno incantato, in questi giorni a Verona, i palati di migliaia di persone. 60 mila metri quadri, 13 padiglioni e 140.000 visitatori venuti da tutta Europa alla ricerca di nuove esperienze degustative in un mondo, quello del vino, che annovera oggi 21 paesi produttori in tutto il globo. Nuove e vecchie realtà in un palcoscenico dalle mille interpretazioni, dalle mille etichette, dalle più disparate forme e colori, hanno avuto il preciso compito di soddisfare lattenzione degli appassionati ma soprattutto degli addetti ai lavori. La consapevolezza dellimpossibilità di poter accedere in modo integrale, allimmensa e tannica realtà del Vinitaly ha dettato il ritmo della manifestazione. Scegliere velocemente, giudicare velocemente. A cominciare dal primo approccio: che cosa chiedere? Cominciare dai bianchi o dai rossi? Quanto bere? Cosa mangiare? Ebbene, gli espositori hanno avuto ben pochi dubbi: i giovani, soprattutto, sono apparsi preparatissimi, pronti a giudicare e a metter a nudo virtù e pecche anche dei migliori nomi e dei prezzi più alti della lista. Un movimento, quello dei giovani esperti ed appassionati, che fa ben sperare e che almeno da quanto visto in questi giorni è ancora immune dallatteggiamento elitario di alcuni loro papà. Anche perché è ormai evidente che i nuovi enologi sono abilissimi nel confezionare prodotti qualitativamente eccellenti, senza dubbio allaltezza dei nomi più famosi del gota enologico italiano e mondiale. Interessantissima è stata sicuramente la prova offerta dalla vicina Slovenia che avvalendosi di giovani eno-professionisti ha dato prova di forza in un mercato di valutazione a stelle e grappoli. E così ci si ritrovati a portare alla bocca calici di uno Chardonnay sloveno tenuto in barrique per 26 mesi e poi risultante al sapore meno legnoso di altri vini simili anche se con un tempo di permanenza in legno decisamente minore. Anche i cosmopoliti Cabernet Sauvignon e Merlot derivanti da uvaggi sapientemente lavorati hanno fatto la loro figura. Un po di delusione invece nel non poter degustare vini provenienti da uve che non siano quelle politicamente adottate. Australia, California, Sud Africa, Cile e Argentina hanno arricchito la manifestazione con quel tono di fantasia e colore propri delle culture e delle etnie extraeuropee ed un pizzico di pomposità e megalomania made in U.S.A E lItalia? Troppe sarebbero le cose da dire sul nostro indiscusso primato. Sicuramente immenso. Sicuramente alimentato dalle nuove tendenze maturate durante gli ultimi anni della millenaria storia enologica del bel Paese e ben visibili durante levento di Verona. Attente vinificazioni a freddo, utilizzo di lieviti selezionati per la fermentazione (Saccharomyces bayanus), non ultima la barrique hanno offerto alla degustazione dei vini bianchi in netta crescita. Anche se il pericolo dietro langolo cè, ed è nella omogeneizzazione del prodotto (più da barrique e lieviti) che rischia di perdere la sua caratterizzazione territoriale. Per quanto riguarda i rossi è da notare che il largo utilizzo dei vitigni francesi Cabernet Sauvignon e Merlot ha dato negli ultimi tempi prodotti che rischiano di essere valutati a livelli economici troppo elevati, e quindi non nelle possibilità di tutti. Appassionante invece la rivalutazione dei vitigni autoctoni che hanno offerto la possibilità di assaggiare prodotti estremamente interessanti (Lacrima di Morro, Cagnulari), se non altro per la diversità di sensazioni e sapori.
Ottima liniziativa dell’Inner Wheel Club di Verona che, nel “punto vendita di bottiglie di prestigio” ha invitato i visitatori ad acquistare i prodotti di molte cantine italiane che hanno messo le proprie bottiglie a disposizione dell’iniziativa del club service veronese. Con un ricavato che sarà poi utilizzato per finanziare borse di addestramento al lavoro destinate ai minori in difficoltà.
Nota dolente invece quella riguardante il panorama della produzione biologica. Mentre sono apprezzabili gli sforzi di alcuni produttori a convertire le loro produzioni in metodi biologici e biodinamici (questi ultimi purtroppo ancora troppo pochi), poco si è fatto in termini di sensibilizzazione al pubblico ,da parte degli organizzatori, nel porre in evidenza questa importantissima tendenza in un paese che annovera così tanti ettari coltivati a vigneto e condotti ancora con metodologie convenzionali e ormai evidentemente poco consoni di fronte alle recenti consapevolezze in termini di ambiente.
Comunque 5 giorni allinsegna del buon bere, e anche del buon mangiare con le iniziative di Gambero Rosso e Slow Food che hanno offerto qualche degustazione gastronomica sempre di ottimo livello. Sicuramente una tendenza enogastronomia alla ricerca della qualità, termine così pieno di significati che dovrà impegnare i produttori nei prossimi anni alla ricerca della completa soddisfazione letterale della parola stessa.

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