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Uno sguardo su Marrakesh

“Si respirava un’aria intrisa di odori forti, l’Oriente stesso, saturo, quasi nauseante, strato vischioso che s’incolla alle suole…” (Sélim Nassib).

Marocco
courtesy of©Cinzia Pierantonelli

Dicono che le cicogne svernino qui; ancora a primavera si possono ammirare i grandi nidi che sovrastano su torri e muraglie dentro e fuori i centri abitati: ogni casa ne vorrebbe avere almeno una perché simbolo di felicità. In effetti questi pacifici uccelli danno un senso di sicurezza dominando sulla città quasi a vigilarla e di tranquillità nei pochi movimenti rarefatti che, appollaiati gli uni accanto agli altri, gli si vedono fare.

A Marrakesh quando le cicogne abbandonano i loro nidi significa che il vero caldo è arrivato; l’aria torrida e la polvere si mescolano insieme e ti si appiccicano alla pelle sudaticcia: in simili momenti si comprende perché gli abitanti del luogo indossino le djellabah, le lunghe vesti in cotone talvolta anche dai colori vivaci, uomini abituati alle sabbie del deserto sanno che i granelli di sabbia penetrano inesorabilmente dovunque, soffiati dal vento o semplicemente sollevati dal passaggio di carrozzelle, auto e motorini e solo essendo coperti dalla testa ai piedi ci può salvare.

Alle porte del deserto sorge Marrakesh che del deserto anticipa i colori e le atmosfere, ultimo baluardo lussureggiante, oasi di frescura e verde delle palme da dattero raccolte in un palmeto gigantesco che sorge ridosso delle antiche mura di cinta antiche di novecento anni.

Infatti al tempo degli Almoravidi e poi sotto gli Almohadi, poco dopo il 1000, l’area era poco più di un oasi lungo la strada che portava al deserto. Al tempo dei Saadiati si sviluppò il commercio d’oro e di schiavi che vedeva come passaggio obbligato questa città nata tra a catena dell’Alto Atlante, distante solo 60 km le cui vette sono innevate anche quando fa caldo, e il deserto. Ancora oggi Marrakesh si riserva un posto di tutto rispetto tra le città più significative del Marocco: un’anima tradizionale frammista ad un ritmo moderno rendono questo luogo ricco di evocazioni che emozionano.

Oggi è venerdì il giorno della preghiera, il giorno dedicato al riposo e al culto. Jemaa el Fna, la piazza all’ingresso della Medina, è ancora spopolata: bisogna aspettare il tramonto per vederla animarsi. Sorseggiando un tè alla menta seduti su una delle terrazze che dominano la piazza, lentamente si abbassa il sole e repentinamente si eleva quasi dal nulla una folla che in pochi minuti fa quasi traboccare il gigantesco anfiteatro. Genti di ogni tipo compongono una kermesse medievale in cui si susseguono cavadenti e giocolieri, venditori di fortuna e incantatori di serpenti, cuochi e venditori d’acqua sotto gli occhi di turisti stupefatti che appaiono e scompaiono tra le nubi di bracieri smisurati sui quali poggiano fragranti carni abbrustolite.

Questa è una faccia di Marrakesh che sembra immutabile negli anni: chiunque sia stato qui e ritorni non troverà cambiamenti, gli uomini nel loro vestito tradizionale, orgogliosi di indossarlo, le poche donne che si vedono in giro non sempre coperte dal velo. Tutti intenti a intessere contatti, fare piccoli e grandi affari, incontrare amici e conoscenti al tramonto dopo una giornata dedicata al culto e al riposo.