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Gli istanti di Mary Ellen

Fotografa di divi, e non solo, pubblica un libro su 30 anni di scatti dedicati alla “sua” Hollywood, colta in flagrante negli attimi di maggior fragilità.

Mary Ellen Mark

Che cosa hanno in comune icone dello spettacolo, come Jack Nicholson, Catherine Deneuve e Sean Penn, con le baby-prostitute di Bombay, i bambini del terzo mondo e gli homeless di un’America dimenticata da Dio? Niente ad una prima occhiata, molto se, a guardarli, si utilizza l’obbiettivo di Mary Ellen Mark, reporter di Philadelphia, nata nel 1940 ed oggi residente a New York.

Una vita trascorsa tra un angolo e l’altro del globo, alle prese con realtà che non potrebbero essere più diverse, allo scopo di restituire la verità in tutte le sue facce, non importa quanto drammatica e impronunciabile. Fotografa discreta, di quelle che pongono il soggetto direttamente in relazione con l’osservatore, nasce già con la macchina tra le mani, naturalmente analogica. E sebbene questa sia oggi sostituita da modelli più all’avanguardia, la passione di Mary Ellen per la pellicola non ha mai ceduto il passo alle tecniche di riproduzione digitale. La manipolazione della realtà è per lei una contraddizione all’essenza stessa dell’arte fotografica, lo scatto, eternamente fedele al momento, nella sua unicità.

E non vale solo per i frammenti di disperazione strappati ai diseredati del pianeta, per i quali la verità è tanto più efficace quanto più cruda, ma anche per gli scampoli di paradiso ritagliati dalla “sua” Hollywood. Un mondo dorato, capriccioso, lunatico ed idiosincratico, ma denso di fascino e di arte, a cui la Mark tuttavia deve molto. Un sodalizio, quello col cinema, che nasce con Arthur Penn, sul set di “Alice’s restaurant” (1969) e subito proseguito col “Satyricon” di Federico Fellini (1969). Con lui, eclettico, onirico e visionario, intraprende un rapporto epistolare che prosegue fino alla morte del regista.

Ma è nel 1973, grazie a Milos Forman che la ingaggia come fotografa di scena per “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, che Mary Ellen scopre la chiave per sfruttare in senso sociale gli spunti dell’industria culturale. Grazie ai due mesi passati all’Oregon State Mental Hospital, la sua Box Brownie si conquista il lasciapassare per un reportage sulle malate psichiatriche appena un anno prima della chiusura dell’istituto. Il libro testimone dell’esperienza in manicomio è appena uscito nelle librerie col titolo “Ward ’81” (Damiani), dal nome del reparto femminile dell’ospedale.

Il 2008 è anno assai prolifico e, in questi giorni, la fotografa 68enne pubblica un secondo volume intitolato, “Seen behind the scene: Forty Years Of Photographing On Set” (Phaidon). La raccolta di scatti che, sebbene più “commerciale” perché dedicata ai tanti protagonisti di Hollywood da lei “catturati”, è interpretata secondo una chiave che ne esalta la fragilità umana. Immagini storiche, come quella di Marlon Brando, sulla scena di “Apocalipse Now” (Francis Ford Coppola ’77), appena “macchiato” da una mosca sulla fronte, o di Dustin Hoffman tormentato dal trucco nel camerino di “Tootsie” (Sydney Pollack, 1982).

Ma anche frammenti privati, come il ritratto di Christopher Reeve caduto da cavallo che, stretto nell’abbraccio di sua moglie, lascia occhieggiare le ruote dalla spessa coperta che li avvolge. Per non parlare di una più recente Liza Minelli che, sigaretta pendula all’angolo della bocca, si stringe il ventre abbondante con sguardo eloquente. Una sinfonia di sensazioni, disperate o divertenti, ciniche o ironiche, danno vita, sulle 264 pagine di “Seen behind the scene”, ad un back-stage emotivo durato 40 anni.