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Anita Jain vs Carrie Bradshaw

Giornalista indiana in cerca di marito pubblica “Marrying Anita: A Quest for Love in the New India”. La fuga da una New York troppo emancipata ed il ritorno a una Delhi che guarda al futuro.

Anita Jain

A chi è avvezzo ad un filone culturale (di cui il cinema è espressione privilegiata) in cui un Oriente antidiluviano ‘ospite’ dell’Occidente emancipato restituisce di sé un’esilarante pantomima, la storia di Anita Jain sembrerà a prima vista anacronistica. Soprattutto perché a spingere la giornalista, single e rampante 30enne, fuori da una New York prodiga di successi, verso la patria India, non è l’ambizione professionale ma un senso di solitudine ed umana inadeguatezza. Alla base, non c’è la sua ambizione professionale, non va a documentare le atrocità del paese d’origine, la povertà, il commercio d’organi, le epidemie di colera. Se torna a casa, lo fa ad un unico scopo, trovarsi un uomo non corrotto dal consumismo sessuale imperante in Occidente e sposarlo per la vita.

Come è possibile – vi chiederete – che una giovane professionista, trasferitasi dall’India direttamente ad Harward,  ed affermatasi al riparo della così detta  società ‘civile’ possa compiere una simile scelta? “East is East” (Damien O’Donnel ‘99), “Jalla! Jalla!” (Josef Fares ‘00), “Sognando Beckham” (Gurinder Chadha ‘02), tutti i chilometri di pellicola dedicati alle nuove generazioni d’indiani, libanesi, pakistani, trapiantati in terra anglosassone, non le hanno insegnato niente? Secondo quelle commedie (da ridere fino alle lacrime ma – ammettiamolo – un tantino paternaliste) essere cresciuti in una patria adottiva, tra la propria, ‘ghettizzante’, comunità etnica e la società ‘neo-paritaria’ d’accoglienza, non può che condurre ad un unico epilogo: il rifiuto della prima a favore della seconda.

Eppure, nel caso di Anita, è vero il contrario. E se vi state domandando il perché, la spiegazione è nel suo ultimo libro “Marrying Anita: A Quest for Love in the New India” (Bloomsbury USA, ‘08). Il fatto è che lei della società americana non sa proprio più che farsene, in particolare di quell’ “educazione sentimentale” con cui le coetanee yankee gestiscono i rapporti con l’altro sesso. Nati il più delle volte sui siti di dating, si esauriscono alla velocità con cui bruciano un pasto lampo nelle loro frenetiche giornate, all’insegna di un imperante consumismo sessuale. Non che abbiano rinunciato ai valori tradizionali, al matrimonio, alla famiglia, anzi, si muovono alla continua ricerca di un uomo su cui proiettare realisticamente le proprie speranze. Ma, il più delle volte (quasi sempre) gli innumerevoli tentativi vanno a vuoto, risolvendosi piuttosto in una notte o due di buon sesso ristoratore.

Così per anni, anche Anita colleziona, da un lato, una serie di partner da fare invidia a Carry Bradshaw (protagonista di “Sex and the city” interpretata da Sarah Jessica Parker), dall’altra, l’infinità d’appuntamenti al buio organizzati dai genitori preoccupati che, da casa, la iscrivono ai siti di matrimoni combinati fra indiani trapiantati a N.Y. Finché un giorno, stufa di tutto questo, fa la valigia e parte alla volta dell’India, portando con sé la sua laurea ad Harward, la conquistata emancipazione, e soprattutto il sogno di un uomo che sappia tradurre in realtà il teorico connubio d’amore, passione ed impegno.

Riabbraccia Nuova Delhi, dove già prima di New York le cose cominciavano a cambiare. Grazie allo sviluppo dell’economia, di nuove tecnologie, sorgevano locali colorati, multiculturali, e la società iniziava ad aprirsi alle diversità, i gay, i divorziati, le donne single, sebbene con gran diffidenza. Ed ora, a distanza di anni, il processo continua la sua lenta e inesorabile evoluzione che rende i giovani di Nuova Delhi più simili di quanto pensasse a quelli incontrati nella grande mela. Vijai, per esempio, ‘felicemente’ divorziato, condivide i suoi interessi, l’amore per Jimi Hendrix e per i Doors, e le fa discorsi che denunciano un’apertura degna di un ragazzo di Manhattan.

Ma se anche in India – com’era prevedibile – la colta ed esigente Janir non è facile ad accontentarsi, la condizione di single nella patria ritrovata (che costituisce il finale non lieto del libro) è ben più accettabile che altrove. Forse perché quei 40 anni di ‘ritardo sociale’, che rendono l’aria di casa più respirabile, profumano di progresso ben più delle conquiste che, ormai ‘scontate’ nella New York attuale, rivelano oggi i loro aspetti più scomodi. Lì quelle come lei pagano il conto di una storia già compiuta da generazioni di donne precedenti, mentre le coetanee indiane vivono ora il loro eccitante divenire. Un periodo aureo, fatto d’autentiche speranze, conquiste culturali, sociali, civili, in una tensione vibrante tra vecchio e nuovo.

Titolo: “Marrying Anita: A Quest for Love in the New India”
Autore: Anita Janir
Editore: Bloomsbury USA
Anno: 2008
Pagine: 320
Prezzo: 16.49$