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“Una forma di vita”, di Amélie Nothomb

Nel suo nuovo romanzo epistolare, la scrittrice cult Amélie Nothomb ci parla di guerra e di amore, di fame e di sogni

lettera

Se c’è una scrittrice che può essere definita, senza ombra di dubbio, una vera grafomane, questa è la belga Amélie Nothomb. Un caso letterario ormai da molti anni, Amélie “partorisce” libri a cadenza annuale. La metafora del parto è sua: in più di un’occasione l’ha utilizzata per parlare del rapporto che ha con le cose che scrive che, sempre a suo dire, sono molte di più di quelle che pubblica.

E il suo ultimo nato, pubblicato dalla casa editrice Voland a febbraio, è una novità nel panorama dei suoi romanzi, pur contenendo molti dei temi che le sono cari e che ha sviluppato nei suoi libri più noti e amati da un pubblico che la adora come una rockstar. “Una forma di vita” è una sorta di romanzo epistolare, costruito attorno all’immaginaria corrispondenza tra Amélie e Malvin Mapple, soldato americano di stanza in Iraq, suo grande fan. La corrispondenza è immaginaria, ma il contesto è assolutamente autobiografico: Amélie riceve ogni giorno centinaia di lettere (non email, non ha mai toccato una tastiera in vita sua e, dice, continuerà a preferire carta e penna al computer), una corrispondenza che non affida a qualche collaboratore, ma che affronta metodicamente in prima persona, leggendo e rispondendo ai suoi lettori.

Tra i primi a partire, Malvin ha vissuto tutte le fasi di questa guerra, e al momento di scrivere ad Amélie sullo sfondo c’è l’elezione di Barak Obama alla Casa Bianca e la speranza che qualcosa cambi. Non è un soldato “normale”, Malvin: è paurosamente obeso. Non lo è sempre stato, è stata la guerra a farlo diventare così. E man mano che il racconto va avanti, scopriamo che alla fine non è poi nemmeno così lontano dalla normalità, con il suo corpo smisurato e la sua fame incontenibile. Sono in molti, tra i soldati che lo circondano, ad avere lo stesso problema. Amélie racconta in un’intervista pubblicata sul quotidiano La Repubblica di essere stata colpita da un articolo sull’alto numero di obesi tra i militari americani in Iraq, e di aver preso spunto da questa notizia per cercare di capire il perché di questo fenomeno.

Il cibo, la fame, il corpo nella sua fisicità più estrema sono d’altra parte temi cari alla scrittrice belga: i suoi personaggi spesso hanno fame, costruiscono con il loro corpo un rapporto intenso nel bene e nel male. Lei stessa racconta di essere stata afflitta da disturbi dell’alimentazione da adolescente, e trova molto più produttivo scrivere quando ha fame, cercando di colmare con la scrittura il vuoto dello stomaco (e non solo). Non è un caso che la sorella Juliette, chef di livello, le abbia dedicato molte ricette costruite sul suo personaggio e sulle sue manie alimentari.

Nel libro “Una forma di vita” il corpo di Malvin, obeso e immerso in un insensato scenario di guerra, riesce ad entrare miracolosamente in comunicazione con quello di Amélie, nonostante la distanza non solo geografica che li separa: le lettere, con la loro fisicità, stabiliscono un primo contatto reale (e in effetti si fa fatica ad immaginare una corrispondenza del genere via email), e si accumulano dipanando i piccoli eventi che segnano la vita di Malvin al fronte. Lo sguardo stralunato e bizzarro che la Nothomb posa di solito sui suoi soggetti si fa un po’ meno invadente in questo libro, pur non sparendo del tutto. In primo piano ci sono due esseri umani, con il loro modo di comunicare, che attraverso i loro corpi riescono a raccontare un punto di vista molto particolare di eventi che fanno parte invece della Storia con la “S” maiuscola.

Autore: Amélie Nothomb
Titolo: Una forma di vita
Editore: Voland
Pagine: 128
Prezzo: € 14,00


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