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Massimo Troisi, vent’anni senza il grande artista

Sono passati venti anni dalla morte di Massimo Troisi, ma il mondo del cinema non lo dimenticherà mai

Attore italiano
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Eccomi qua, io sono sua maestà il napoletano normale. Nessuno se lo aspettava un napoletano timido che parla sottovoce. Forse per questo faccio ridere”: una delle citazioni più celebri di Massimo Troisi, che racchiude in una frase l’essenza del grande attore e regista scomparso vent’anni fa. La napoletanità, la timidezza, la comicità, Massimo Troisi è stato molto più di un interprete: è riuscito ad essere sé stesso, dietro e davanti alla macchina da presa. Ha creato un genere, un modo di fare cinema che, pur legandosi alla tradizione (da Eduardo de Filippo a Totò) è stato suo e suo soltanto, ed è rimasto ineguagliato a distanza di vent’anni.

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Era il 4 giugno del 1994 quando Massimo Troisi morì a soli 41 anni a causa di uno scompenso cardiaco, e il solo pensiero ancora oggi il pensiero evoca un lutto nazionale davvero difficile da superare. Un artista di raro talento, che dagli esordi all’ultimo capolavoro (Il Postino) ha segnato profondamente la storia del cinema italiano. Una carriera nata nei teatri parrocchiali della provincia napoletana, culminato nel successo de La Smorfia, il gruppo che fondò con Enzo Decaro e Lello Arena. Il successo al cinema arriva con ‘Ricomincio da tre‘, debutto lodato da pubblico e critica in cui Troisi recitò ma seguì anche sceneggiatura e regia (vinse tre Nastri d’argento e due David di Donatello).

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Indimenticabile in ‘Non ci resta che piangere’, che coronò il sodalizio con Roberto Benigni, pellicola le cui battute sono ancora oggi citate a memoria da fan di ieri e di adesso. La storia del maestro e del bidello che si trovano catapultati nel 1492 è entusiasmante non solo per le gag, ma per il connubio toscano-napoletano che diventa simbolo della comicità italiana per generazioni intere. La sua carriera continua con ‘Le vie del Signore sono finite’, con ‘Che ora è?’ di Ettore Scola accanto a Marcello Mastroianni, e naturalmente con il capolavoro ‘Il Postino’, che Troisi è riuscito a concludere solo poche ore prima di morire. Gli ultimi giorni di riprese sono stati estremamente faticosi per l’attore/regista, che ormai si poteva presentare sul set non più di un’ora al dì e recitare solo nei primi piani, per dissimulare le condizioni fisiche. Non era bastata l’operazione al cuore di alcuni anni prima, e nemmeno la raccomandazione di non impegnarsi sia nella direzione che nell’interpretazione del film (la cui regia fu infatti affidata a Michael Radford intervistato da Film.it). Concluse le riprese del film che poi il mondo intero loderà (candidato all’Oscar ne vinse uno per la migliore colonna sonora) e amerà, e si spense nel sonno a casa della sorella, a Ostia.

Non ha mai smesso di recitare in napoletano. Sin dai tempi de La Smorfia Massimo Troisi mantenne ‘la sua lingua’, riuscendo a caratterizzarla talmente tanto da renderla universale. E forse era anche il suo stratagemma per vincere la timidezza, autorizzandosi a parlare in quello che per lui era il modo naturale, esorcizzando il timore del pubblico e anzi facendo di questa timidezza un tratto caratteristico e comico. A distanza di vent’anni dalla morte Massimo Troisi rimane uno dei più compianti artisti italiani, che vogliamo omaggiare dedicandogli la poesia che l’amico Roberto Benigni ha scritto per lui.

“Non so cosa teneva “dint’a capa”,
intelligente, generoso, scaltro,
per lui non vale il detto che è del Papa,
morto un Troisi non se ne fa un altro.
Morto Troisi muore la segreta
arte di quella dolce tarantella,
ciò che Moravia disse del Poeta
io lo ridico per un Pulcinella.
La gioia di bagnarsi in quel diluvio
di “jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!”
era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz.
“Non si capisce”, urlavano sicuri,
“questo Troisi se ne resti al Sud!”
Adesso lo capiscono i canguri,
gli Indiani e i miliardari di Hollywood!
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino,
e non m’ha mai parlato della pizza,
e non m’ha mai suonato il mandolino.
O Massimino io ti tengo in serbo
fra ciò che il mondo dona di più caro,
ha fatto più miracoli il tuo verbo
di quello dell’amato San Gennaro”