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Cranston: “Devo tutto il mio successo alle donne”

Intervista all’icona di Breaking Bad che rivela il segreto del suo successo: il momento in cui ha deciso di studiare recitazione per dare la caccia alle belle ragazze

 Bryan Cranston
LaPresse

C’è stato un tempo, risalente a una ventina di anni fa, in cui i telefoni squillavano pochissimo a casa di Bryan Cranston. Alcune di quelle volte dall’altra parte della cornetta c’era la proposta di un ruolo da interpretare: “Io rispondevo e dicevo ‘sì’ prima ancora che quelli finissero la frase” – rivela l’attore. A distanza di due decadi, il ruolo di Walter White interpretato per cinque stagioni nella serie cult Breaking Bad ha fatto in modo che quegli stessi telefoni non smettano mai di squillare e Cranston ha imparato a prendersi qualche momento in più per rispondere. Non secondi, né minuti, a volte può anche pensarci per settimane o mesi: “Oggi sono così fortunato che posso permettermi di scegliere io i ruoli da interpretare”.

Performer anche fuori dal set, Cranston è elegante, sveglio, veloce, sempre con la battuta pronta, la voce calda ed elastica: può essere sexy, dura e può perfino caricarsi di aria nei polmoni e strillare cercando di farti sorridere. Lo incontriamo in occasione dell’anteprima europea di Godzilla, uno dei kolossal di questa stagione cinematografica in cui interpreta un padre con i sensi di colpa: un uomo che da quando è rimasto vedovo si è allontanato dal figlio, alla ricerca del mistero della morte della moglie. “Il mio personaggio pensa di avere ucciso la moglie: crede di essere stato lui il responsabile. La cosa mi ha colpito veramente tanto. Anche io sono un marito e padre di famiglia, dunque non è stato difficile immaginarmi quella situazione”. Una bella frase che rafforza la sua immagine di “family man dell’anno”, eppure andando a ritroso di più di trent’anni si nasconde il segreto del suo successo, legato come lui stesso afferma a una sola parola: “libido”.

Si dice che abbia deciso di studiare recitazione perché le piacevano le ragazze: è proprio così o è una leggenda metropolitana?
Verissimo. Da ragazzo inseguivo il sogno di diventare un giocatore di baseball, eppure crescendo a Los Angeles mi era capitato di aver interpretato un paio di pubblicità quando avevo sette o otto anni. Ho avuto un’illuminazione mentre ero all’università: ho scoperto che le ragazze che facevano teatro erano più belle di quelle che studiavano criminologia con me. Tutto è cominciato lì.

Quindi possiamo dire che Bryan Cranston ha cambiato il corso della sua vita per un impulso sessuale…
(Si fa una gran risata e poi risponde) Sì ed è stato un miracolo. Chiediamo sempre ai nostri figli cosa vogliono fare nella loro vita. Ma è una domanda un po’ ridicola: cosa credete che vogliano fare quando hanno sedici anni? Molti risponderebbero: “Vorrei fumare erba e fare sesso, esiste un lavoro in cui posso fare entrambe le cose?”. Una volta entrato nel mondo del teatro, però, ho cominciato a capire una cosa, mi sono detto: “Ok se questa dimensione mi piace davvero, allora è meglio che mi rimbocchi le maniche e che faccia qualcosa con la mia vita”.

Oggi ha una figlia di ventuno anni che fa il suo medesimo mestiere. Vorrei sapere se il ruolo di padre si scontra con quello di mentore artistico: quanto la ha incoraggiata a fare questo lavoro?
Incoraggiata sì, insegnato il mestiere no. Mia figlia Taylor è già un’attrice e dunque non ha senso che io sia il suo acting coach. Quando parliamo di recitazione, lo facciamo in generale ed evito di sputare sentenze. Raramente, infatti, dico qualcosa di specifico: preferisco essere un papà.

Ripensando alla sua lunga carriera, c’è comunque un consiglio che darebbe a giovani artisti?
Forse gli farei notare che questo lavoro va fatto senza pensare al successo immediato. Direi loro: “Questa è la tua vita, e al vino buono serve tempo per maturare. Così succede anche a un artista”. Ci sono dei film che ho fatto in passato di cui non vado molto fiero, credo però che siano pezzi necessari di questo puzzle che compone la mia carriera.

Breaking Bad è un esempio di grande TV ed è anche merito di una scrittura brillante. Quanto è diventato esigente adesso che ha compiuto il suo percorso artistico come Walter White? Ha continuato a ricevere proposte di personaggi molto simili a quel ruolo?
Sono molto esigente, perché tendo sempre a pensare alla qualità di quello show. Di certo la cosa peggiore che avrei potuto fare sarebbe stata interpretare un personaggio simile o un altro personaggio oscuro. La stessa cosa mi era successa dopo la sit-com Malcolm, quando mi hanno offerto altri ruoli di padre dolce e goffo. Ho imparato a dire sempre la stessa cosa: “Grazie, ma no grazie”.

Stiamo parlando di ruoli che magari garantiscono uno stipendio vitalizio. Come si fa dunque a rifiutare a queste proposte? Cosa le passa per la mente quando dice “grazie, ma no grazie”?
So bene che molti accetterebbero queste proposte. In quanto a me, ho bisogno di sorprendere e cambiare marcia prima che altri si mettano a prevedere il mio futuro. Naturalmente mi piace anche sorprendermi da solo e fare cose più rischiose e meno commerciali. Negli ultimi sei mesi sono tornato a teatro quando invece avrei potuto interpretare due grossi film. Cerco di non essere controllato dai soldi: non ne ho avuti molti in passato, oggi sono arrivati, ma non sono loro a dettare legge. Questa è la vera fortuna, adesso preferisco avere la possibilità di scegliermi i ruoli.

In Godzilla è diretto dal giovane Gareth Edwards, al suo primo film commissionatogli da uno Studio. Recentemente un grande attore come Kevin Spacey ha dichiarato di scegliere i propri ruoli secondo una regola fondamentale: “A meno che tu non sia Scorsese e non mi offri un ruolo chiave, va all’inferno”.  C’è un margine di preoccupazione quando si lavora con un regista poco affermato?
Nella mia carriera ho lavorato con parecchi tipi di registi. Sapete chi sono i peggiori? Quelli che facilmente perdono la testa e diventano aggressivi per colmare la mancanza di controllo del loro set. Improvvisamente si mettono a urlare e a comportarsi in maniera dittatoriale. Loro sono le persone più difficili con cui lavorare, quelli che creano tensione. Gareth invece mi ha conquistato subito proprio grazie alla sua umiltà. Si è circondato delle persone giuste con cui lavorare, aveva una visione chiara e se a volte aveva dei dubbi sulla scelta migliore, lui era in grado di girarsi verso i suoi collaboratori e dire: “Non saprei, voi cosa suggerite?”. Sentire questa cosa pronunciata da un regista ti ispira tanto: all’improvviso vuoi aiutarlo in tutti i modi. Credo che questa umiltà delinei un vero artista.

La domanda dunque è spontanea: dopo aver diretto alcuni episodi di serie TV, le piacerebbe debuttare come regista cinematografico?
Tanto. E ci sto provando. Ho scritto una sceneggiatura che al momento è tenuta in considerazione da uno Studio. Mi dicono che vogliono farla, anche se ormai è passato qualche anno. La cosa non mi stupisce: ci vogliono tanti anni per arrivare a fare il tuo film. Due anni fa ho recitato in Argo, che era prodotto da George Clooney, lui ci ha messo sei anni per trovare il budget e farsi approvare il film.

Si dice che tra i suoi rituali di artista ci sia quello di non parlare il lunedì. È vero? È legato a una determinata superstizione?
È una cosa che faccio per ora a New York in occasione dei miei impegni teatrali. Sul palco urlo per tre ore in una performance piena di emozioni, un ruolo molto fisico. Dunque mi tengo il lunedì per risparmiare la voce e la mia energia. Nessuna superstizione.

Alla fine di ogni intervista chiedo sempre: qual era il poster che aveva in camera da ragazzino?
Era proprio quello di Godzilla. Amavo la distruzione, io stesso volevo distruggere tutto. Incluso quel poster. Cosa che da lì a poco ho fatto: una cosa che ricordo chiaramente è l’immagine di me che tiro freccette su quel poster.

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