Nel rapporto annuale, l’Italia si piazza mediamente bene, ma solo grazie a politiche sociali ed economiche ormai datate
Quanto è difficile essere donne nel mondo e dover considerare il riconoscimento dei propri diritti fondamentali, siano essi economici o sociali, una conquista piuttosto che un punto di partenza assodato per cittadinanza,
sesso e genere? A questa domanda cerca di rispondere con precisione statistica e sguardo multifattoriale, il We World Index 2015, il rapporto internazionale promosso dall’organizzazione no-profit WeWorld, sul livello di inclusione di bambine, bambini, adolescenti e
donne nel mondo, presentato nei giorno scorsi presso la sede del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale di Roma.
Un lavoro necessario, che parte dall’assunto che nonostante le suddette categorie di persone rappresentino il 70% della popolazione mondiale, sono ancora oggi i soggetti sociali più a rischio di esclusione. Ma la novità del rapporto, sta soprattutto nella capacità di considerare l’elemento femmineo come strettamente legato alle condizioni del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, in virtù dello stretto rapporto che nei primi anni di vita, lega insieme
madri e figli in un destino comune. E le novità che emergono rispetto a un approccio che tiene conto di tantissimi indicatori, sono 34, analizzati per 167 paesi, fotografano una parte del globo dove le diseguaglianze di un sistema politico, economico e sociale, relegano ancora le donne e i bambini ai margini della società.
Prendendo in esame i paesi più sviluppati e considerando che non tutti sono stati inclusi nell’indice a causa della difficoltà di reperimento di dati precisi, l’Italia occupa il 18esimo posto. E’ una posizione intermedia rispetto all’apice della classifica, che è invece occupato prevalentemente da paesi europei, unica eccezione l’Australia, che dimostrano oggi di avere un buon livello di inclusione. Nonostante ciò, il buon posizionamento del Belpaese, pur collocandosi tra i primi 20 paesi al mondo women and children-friendly, deve la sua buona performance a politiche pubbliche ormai datate.
Pesano quindi positivamente riforme come l’accesso all’istruzione primaria universale, e il sistema di sanità pubblica. Al contrario, sui nuovi indicatori, che per esempio includono la spesa per l’istruzione, la corruzione, un aspetto, quest’ultimo profondamente legato alle prospettive economiche e sociali, essa scivola oltre la 50esima posizione. Drammatico invece il posizionamento per quanto riguarda i parametri relativi alla parità di genere. In occupazione femminile e violenza contro le donne, il paese scivola oltre il 100 posto.
Infine, a livello macro, la situazione dell’inclusione sociale femminile e infantile, è tutt’altro che rosea. Sempre secondo il rapporto, sono 102 su 167, i paesi che non raggiungono nemmeno la soglia della sufficienza per quanto riguarda il livello minimo di inclusione sociale. E l’indice mostra con chiarezza che c’è ancora molto lavoro da fare.