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Come riconoscere la qualità di un jeans

L’arte del denim. Ecco tutto quel che c’è da sapere prima di comprare il pantalone più amato nel mondo

Jeans 
Courtesy of©naito8/iStock
Non c’è niente di più casual di un bel paio di jeans: parliamo di un capo che, da decenni, mette d’accordo generazioni intere, piace ai giovani ma anche gli adulti ne fanno tesoro data la sua versatilità. C’è chi pensa che un pantalone vale l’altro ma, al di là del modello, che sia a sigaretta o a zampa, skinny o boyfriend, sono tanti altri i fattori da valutare al momento dell’acquisto perché, a determinarne la qualità, non sono di certo il prezzo o lo stilista che li ha firmati. Esiste infatti denim e denim, avete mai sentito parlare di quello giapponese? Ebbene sì, la provenienza è importante e proprio in terra d’Oriente, a quanto pare, si realizzano i migliori jeans, modelli duraturi belli da vedere, piacevoli da indossare e da toccare.
Quello giapponese è infatti un denim cimostato, termine che allude alla presenza della cimossa ovvero del bordo non tagliato di una pezza di tessuto che può essere realizzata con fili di colore diverso, il tutto avvalendosi di vecchi telai a navetta, un procedimento lungo e faticoso che ne fa lievitare il prezzo rendendo questi jeans dal look sartoriale di grande pregio. Importante anche la colorazione che, per i modelli made in Japan vede prevalere, al posto dei coloranti sintetici, una tinta indaco naturale fissata sul tessuto attraverso ripetute immersioni, ciò non fa che renderli ancora più rari perché ogni pezzo sarà unico, impossibile trovarne due uguali.
 
L’occhio deve scorrere lento su ogni dettaglio, bilancia compresa, perché anche il peso ha la sua rilevanza: di media un jeans varia dalle 7 alle 18 once mentre quelli giapponesi ruotano intorno alle 20 once, ovvero circa 600-700 grammi. Vale la pena tenere a mente che più il peso è basso minore sarà la qualità del filato ma è vero anche che, se è troppo pensante, il pantalone rischia di essere troppo rigido e difficilmente si adatterà alle forme del corpo. Attenzione perché la differenza a primo impatto è impercettibile, si inizia a comprendere la vera qualità del prodotto solo a distanza di circa 6-9 mesi dal primo utilizzo osservando se le parti più delicate, quelle soggette a un maggiore sfregamento, si logorano o meno.
 
Mai dimenticare di consultare l’etichetta per capire a quali trattamenti è stato sottoposto il denim nel post-tessitura: da annotare termini come sanforizzazione, procedimento in grado di rendere i tessuti di cotone irrestringibili e ancora fiammatura, fondamentale al fine di conferire morbidezza al modello mentre con la calandratura migliora l’usabilità del tessuto e, infine, c’è la mercerizzazione, processo che conferisce lucentezza uniforme al pantalone.
 
Sale il prezzo aumentando la ricercatezza ovvero puntando su tasche foderate, orli cucite a catenella e ancora sui rivetti in rame, ovvero quelle piccole borchie che si trovano agli angoli delle tasche posteriori che, più che un ruolo puramente ornamentale, hanno una precisa missione come dimostrò Jacob Davis, un sarto di Reno che, insieme a Levi Strauss, decise di realizzare una linea di abbigliamento da lavoro rinforzata applicando proprio questi rivetti sui punti di tensione dei pantaloni al fine di evitare che le tasche dei cercatori d’oro, cariche di pepite, si rompessero sotto sforzo. Oggi come ieri la loro presenza e importante in quanto, che si vedano o no, sono un chiaro segnale che il pantalone in questione è di qualità.