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Le mille varietà del carciofo violetto 

Siciliano, pugliese, toscano, ligure, veneto: il carciofo viola lungo lo Stivale

Carciofo violetto
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L’Italia è il primo paese al mondo per la produzione del carciofo: alcune stime indicano il Belpaese come terra d’origine del 30% dei carciofi nel mondo, di cui ben tre varietà rientrano nella denominazione IGP (Carciofo di Paestum, Romanesco e Brindisino) e una è DOP (Spinoso di Sardegna). Un ortaggio che fa ampiamente parte della gastronomia nostrana e mediterranea in generale, utilizzato da secoli non solo per ricette culinarie ma anche per i suoi benefici decotti e per le numerose proprietà fitoterapiche
 
Esistono tuttavia decine di varietà di questo ortaggio tanto amato, e alcune delle più diffuse rientrano nella ‘categoria’ dei carciofi violetti. Tra essi, il pregiato violetto di Sant’Erasmo, coltivato nella Laguna di Venezia, presso l’isola che gli dà il nome e altre limitrofe, che fa parte dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani e rientra tra i presidi Slow Food. Il carciofo è una pianta tipica del centro-sud Italia, ma il violetto di Sant’Erasmo ha trovato nella laguna un habitat ottimale, tra precipitazioni abbondanti ma clima mite grazie all’influsso del mare, terreno fertile e limoso (un tempo abbondantemente concimato con i rifiuti organici della città e soprattutto con scarti di conchiglie e molluschi). E’ un carciofo tenero, carnoso, spinoso e dalla forma allungata, di un colore viola cupo, quasi vinaccia.
 
Il carciofo violetto di Toscana (o livornese) sembrerebbe essere l’antenato del carciofo veneto sopra citato, con il capolino di forma ovale e formato da bratte (le ‘foglie’) esterne viola scuro piuttosto coriacee, mentre quelle interne sono morbide e tendenti al giallo. Viene coltivato lungo il litorale livornese con la tecnica tradizionale, che gli conferisce proprietà organolettiche superiori ad altri carciofi coltivati nell’area tirrenica. Scendiamo lungo lo stivale e troviamo il carciofo violetto di Castellammare, dal capolino tondo simile al romanesco (di cui è una sottovarietà), anch’esso presidio Slow Food. E’ riconoscibile non solo per la forma appallottolata, ma anche per la sfumatura tendente al rosso, ed è particolarmente precoce visto il clima mite del suo habitat. 
 
Forse il più famoso tra i violetti è il carciofo di Sicilia, che cambia nome a seconda della zona di coltivazione: avremo quindi il catanese (il più diffuso in Italia), lo spinoso di Palermo, violetto di Niscemi, il pregiato Ramacchese, il siracusano, tra i più noti. La forma è cilindrica in alcune varietà, tondeggiante in altre, ma in generale mettono la Sicilia sul podio delle regione produttrici di carciofi in Italia. Tra i primi posti per la coltivazione di questo ortaggio anche la Puglia, che tra i violetti annovera quello di San Fernando, varietà che si coltiva nell’omonima zona in provincia di Foggia, dalle bratte verdi che sfumano nel viola. 
 
Da non dimenticare il carciofo violetto di Provenza, coltivato esclusivamente in Liguria nella zona di Perinaldo (e naturalmente nella vicina regione francese), senza spine e dall’aspetto particolarmente decorativo, con capolino cilindrico dalle foglie più esterne che tendono ad aprirsi come un fiore e una tonalità di viola intensa che verso l’interno diventa paglierina. Menzione speciale anche al violetto di Albenga, varietà spinosa tipicamente ligure le cui foglie sono di colore verde chiaro che sfuma sul viola. Infine, tra i violetti italiani si annovera il carciofo di Romagna.
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