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Innamorato della luce

Alluminio, ferro, legno, plastica. Questi i materiali utilizzati da un giovane designer italiano per costruire le sue incredibili lampade. E luce fu…

Roberto Viccaro

Roberto Viccaro, giovane  e  prolifico designer ‘innamorato della luce’, che vive tra Roma e Formia dove disegna e costruisce le sue lampade, tra un set cinematografico e un concerto punk (suona in una delle più popolari band capitoline, gli Happy Noise). L’artista ha raccontato  a stile.it il suo percorso di artigiano della luce e la ricerca costante sui materiali, ‘anche quelli impossibili da illuminare’ e la sua personale visione di eco-design.

Quale è stato il tuo percorso di lighting designer? Come e dove hai iniziato a lavorare con la luce?
“Ho iniziato a Formia, la mia città di provenienza, dove ho passato buona parte dell’ infanzia nel laboratorio del nonno, ‘artigiano estremo’ del dopoguerra, abituato a costruire e ad aggiustare qualsiasi cosa. Insieme a lui ho cominciato a prendere dimestichezza con diversi materiali, dal legno, al ferro, al vetro, a capire come lavorarli e conservarli e a cominciare ad immaginarne i possibili utilizzi. Nella piccola cittadina in cui vivevo non ho avuto molte possibilità di confronto con altri artisti e internet era ancora una realtà poco diffusa… perciò la passione per la luce, o meglio per le infinità possibilità date dall’arte dell’illuminazione è venuta quasi dal nulla, o meglio dal confronto tra la lampadina, ‘il principio base’, e i materiali che maneggiavo in casa, lo smontaggio degli oggetti e, in un secondo momento, la ricerca dello ‘scarto’ da riutilizzare, il riciclaggio di materiali ‘impossibili’ da illuminare. Tutt’ora in quel vecchio magazzino passo molte ora a smontare, a saldare, a far saltare prese di corrente”

E poi hai lavorato anche in un negozio di lampade come commesso. Un po’ come Tarantino ha lavorato per anni nelle videoteche prima di approdare alla macchina da presa!
“Ebbene si, per due anni, mentre studiavo arredamento di interni, corso che ho abbandonato perché il lavoro al computer toglieva troppo tempo a quello di artigianato e di ricerca. L’esperienza di commesso è stata importantissima.  Ho imparato, innanzi tutto, a capire come erano fatte le lampade, quindi come costruirle, mantenendo delle norme di sicurezza, semplicemente osservando i prodotti in serie, quelli usciti dalla grande fabbrica. Questo è un aspetto fondamentale del mio lavoro, la sicurezza: ogni materiale da una sua risposta al calore e le mie lampade hanno l’obiettivo di durare nel tempo, al di là del risultato estetico. Al cinema poi ci sono arrivato anche io, ma per altre strade: lavoro sui set come tecnico luci e ovviamente questa esperienza contribuisce ad arricchirmi, sia dal punto di vista artistico che professionale, ad aiutarmi a disegnare ambienti e spazi con la luce, a creare atmosfere. Dai set nasce la lampada Cinewar, realizzata con gli scarti di pellicola 35 mm degli anni ’70, ma ho lavorato anche il Vhs, figlio del mio tempo”.

Raccontaci delle tue lampade preferite, dei materiali che hai utilizzato nel corso degli anni, del lavoro di ricerca e riciclaggio.
“I materiali che ho lavorato sono diversissimi, alluminio, legno, ferro, plastica, ho passato ore a rovistare dai robivecchi, nella spazzatura, a curiosare tra i resti di fabbriche (per esempio per la costruzione di Torc, disegnata su rulli di fabbrica lunghi circa due metri), a smontare gli oggetti più impensati, acquisendo man mano la coscienza del riciclaggio. Se la maggior parte del cosiddetto eco-design lavora su materiali riciclabili, come la carta e il vetro, io ho cercato di portare avanti la mia ricerca su materiali non riciclabili, che hanno definitivamente concluso il proprio ciclo di vita e che quindi sono solo spazzatura, scarto inquinante, come la plastica ma, allo stesso tempo, preziosi indicatori di un momento storico.  Ho raccolto centinaia di cicche di sigaretta per costruire la lampada Smook,  sperimentando isolanti e fissatori per conservare nel tempo i mozziconi, per eliminarne l’odore. Ogni lampada è una sfida con un materiale nuovo, un confronto tra un elemento ‘morto’ e la luce viva, e il disegno di un’idea. Uno spunto per riflettere, una provocazione, una domanda. Come Sorridi?, fatta con le mascherine antismog fissate su una struttura in legno, uno ‘smile’ dei nostri giorni, o Peperoni, una lampada che ho creato per gioco, un giorno in cucina mentre pulivo dei perfetti e costosissimi peperoni. Il mio prossimo obiettivo è illuminare una rosetta, lo sapete quanto si spende oggi per farsi un panino? Tanto vale provare ad illuminarlo!”