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Una Zarina a Manhattan

Un aspetto che non mente, quello di Janna Bullok, eroina moderna, self-made woman per antonomasia che, dalla povertà più nera, scala le vette dell’impero immobiliare newyorkese.

Janna Bullock

Sorriso posato, capelli biondi, pelle di pesca, tailleur firmato “Prada” ed un passato tolstojano. Dai mattoni delle facciate di un’antichissima San Pietroburgo, ai piloni ultramoderni dell’upper east side di Manhattan. È qui che vive l’elite dell’alta finanza, della politica e dello spettacolo, personaggi come Michale Bloomberg e Woody Allen. Una classe che non rischia di vedersi pignorare l’abitazione, per via della recessione che ha colpito l’America dall’agosto 2007. Ed è qui che, nel breve arco di un ventennio, “Lady townhouse” ha fondato il suo olimpo manageriale.

La sua favola inizia 40 anni fa, nella Russia del post-realismo socialista, dove con sua madre, vive di buoni d’acquisto ed assiste entusiasta al risveglio di una cultura che rinasce sotto i colpi del pennello surrealista. In questo scenario, la futura regina si appassiona all’arte e, dopo una laurea conseguita con una tesi su Dostoevskij, va ad insegnare in una scuola superiore di San Pietroburgo.

A 20 anni, già madre di una bambina, si allontana col suo sogno nel cassetto per raggiungere un luogo distante anni luce, non tanto per chilometri, quanto per sistema, politica e mentalità. Una scelta sofferta, affrontata con tenacia da leonessa.

Nella Grande Mela, trova mille lavori: da baby-sitter in una famiglia ebreo-ortodossa, ad impiegata in uno studio legale, da consulente d’arredamento, al master in economia alla Duke University. Fino al giorno in cui, grazie a un prestito bancario, esordisce nel mercato delle town-house, dimostrando da subito notevole talento negli affari.

Da questo momento la vita di Janna procede a colpi d’acquisti, ristrutturazioni e vendite a prezzo moltiplicato. Come il palazzo sulla 64esima, una volta sede dell’New York Observer, che compra a 10 milioni e rivende a 19. Diventa uno squalo in tacchi a spillo e la sua fama fa il giro del mondo. Ma, nonostante i guadagni stellari, la lussuosa penthouse, la coppia di chihuahua, i 400 pezzi d’arte, ed una società milionaria battezzata “RIGroup”, non dimentica se stessa e la terra d’origine.

Alla sua Russia, infatti, dedica un progetto volto a resuscitare la splendida e depressa zona di Sergei Posad, alle porte di Mosca, dove gli antichi monasteri attirano milioni di pellegrini che non sanno trovare rifugio. Qui, dopo un’aspra lotta con la burocrazia locale, vinta a suon di milioni, rende pubblico il suo desiderio di contribuire all’economia di sviluppo dell’ex-Unione Sovietica.

Intanto, nella patria adottiva, è riconosciuta mecenate d’artisti da ogni dove e si conquista la nomina di membro del comitato direttivo del Museo Guggenheim, entrando così nell’elite culturale newyorkese. Sul fronte degli affari, dichiara intenti eco-solidali, inaugurati con l’acquisto delle rovine di un palazzo incendiato sulla 62esima strada. Ristrutturato con i criteri dell’architettura sostenibile (eliminazione di materiali tossici e risparmio energetico) è il primogenito della nuova era Bullock, su cui Janna vuol porre l’illustre suggello della Leadership of Energy and Enviromental Design.