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Daft Punk: robot ma non troppo

Dopo essersi occupati delle musiche per la sfilata di Heidi Slimane al Grand Palais di Parigi, i Daft Punk cominciano un processo di umanizzazione della loro musica messo in risalto dal look pensato per loro dalla celebre casa di moda francese

Daft Punk

Quando circa tredici anni fa i cineasti Alex Courtès e Martin Fougerol crearono per la prima volta i caschi per le apparizioni in pubblico dei Daft Punk non potevano certo immaginare che con il passare del tempo Thomas Bangalter e Guy-Manul de Homem-Christo, tentassero di umanizzarsi attraverso la realizzazione di un nuovo album e un nuovo look firmato Yves Saint Laurent. A distanza di otto anni da ”Human After All” i Daft Punk sono infatti tornati sulle scene musicali con la loro quarta e fortunata opera, intitolata “Random Access Memories”.

Il nuovo album è una sorta di avventura onirica, un disco nostalgico che vuole essere un omaggio alla dance music ma che ha origine in una terra di confine tra euforia e melancolia, un luogo che in realtà il duo ha sempre difeso a spada tratta. Un album piuttosto fisico, carnale, animale dunque in cui ci si domanda che fine abbiano fatto i due freddi robot di “Human after all” .

Random Access Memories nasce dalla perfetta simbiosi fra essere umano e la tecnologia, un concetto sottolineato anche dalla penna di Heidi Slimane che come avvenuto in precedenza per Marilyn Manson, Courtney Love, Sonic Youth e Ariel Pink  ha voluto portare avanti una proficua collaborazione con i personaggi della scena musicale internazionale. Ed allora ecco che in occasione della pubblicazione del primo singolo “Get Lucky” la direttrice artistica della celebre casa di moda ha disegnato per il duo francese degli smocking neri in versione “black glitter” con l’intento di rendere più umani i due homme-machine.

Dal canto loro i Daft Punk, oltre ad aver definitivamente abbandonato le tute e i giubbotti in pelle, nel loro nuovo album hanno dato molto spazio agli strumenti musicali classici. Fin dal primo ascolto, infatti, sebbene l’uso del vocoder sia molto presente, l’ impressione è quella di  assistere ad una virata pop caratterizzata da una musica molto funky, totalmente ripulita dalla sterilità dei computer. Forse quando la musica si robotizza gli stessi robot aspirano ad umanizzarsi.

 

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