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Marco Pantani, ascesa e declino di un mito

Il 14 febbraio ricorre il decimo anniversario della morte di uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi, ancora piena di ombre e risentimenti

Ciclismo
Aldo Bolzan

La storia di ogni sport genera i suoi miti, e di sicuro Marco Pantani è uno dei più grandi che il ciclismo abbia mai avuto. Purtroppo non è una storia a lieto fine quella di del grande corridore romagnolo, ma piuttosto una tragedia che parla dell’ascesa e della caduta libera di uno sportivo, ma prima di tutto un uomo, che è stato osannato e poi denigrato dalle stesse persone, provocando in lui una serie di reazioni che lo hanno portato alla depressione, e alla morte. A Marco Pantani non è stato concesso il beneficio del dubbio da parte di un’ampia fetta di Italia; e con la stessa cecità con cui si esalta ogni azione del proprio idolo, un’altra fetta ha continuato a venerarlo puntando il dito contro il complotto.

Difficile dire chi sia nel torto e chi nella ragione, anche a distanza di 10 anni da quel fatidico San Valentino in cui ‘il Pirata’ Marco Pantani venne trovato privo di vita in una stanza a soqquadro del residence ‘Le Rose’ di Rimini. Era il 2004, e Pantani aveva toccato il fondo della sua discesa agli inferi. Una vera epopea romantica e tragica la sua, da cui la letteratura ha tratto fior fior di ispirazione: il piccolo grande sportivo, che emerge tra i campioni del ciclismo italiano e mondiale nonostante le tante sfortune (incidenti, investimenti d’auto, persino un gatto che gli taglia la strada durante una discesa), vince un Giro d’Italia e un Tour de France, stravince oltre 40 gare, affascina, eccita gli spettatori, persino i francesi lo incitano, accende gli animi di tutti i giornalisti sportivi. Finché arriva quel fatidico giorno, quella tappa del Giro d’Italia 1999 a Madonna di Campiglio, in cui viene fatto un controllo e si riscontra che Marco ha i livelli di globuli rossi troppo alti rispetto al livello consentito (di 1 punto). Non significa per forza doping, ma il campione deve venire escluso per due settimane, è il regolamento. Si scatena l’inferno: velocissima la stampa a dargli contro, grande il clamore mediatico, altrettanto veloce la reazione di un orgoglioso Pantani che aizza i suoi avvocati e grida ‘al complotto’, tante le ombre su questo controllo e sul suo svolgimento. La reazione di Marco è immediatamente tragica ‘Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, rialzarsi sarà per me molto difficile’ dichiara il Pirata. Ad aumentare l’inquietudine, le dichiarazioni di Renato Vallanzasca dal carcere, secondo cui gli era stato sconsigliato di puntare su Pantani perché non avrebbe vinto il giro. Si proietta l’ombra delle scommesse clandestine.

Inizia la discesa agli inferi: Marco prova a tornare in sella in diverse occasioni, ma del mito che correva come un fulmine in salita è rimasta solo l’ombra. Arriva la depressione, comincia l’abuso di cocaina, l’abbandono di molti, lo si scopre frequentare amici di dubbia morale, si parla di festini e droga, di manager senza scrupoli che sfruttano la situazione e intanto lui sprofonda sempre di più, fino al drammatico epilogo. Sul quale sorgono altre decine di dubbi: Marco Pantani è morto di overdose di cocaina, ma diversi dettagli nella stanza destano sospetti sul fatto che fosse solo, un’autopsia poco ordinaria. Emerge che in carriera ha fatto uso di sostanze dopanti, ma c’è anche chi dice di no, chi comunque ritiene che sarebbe stato ugualmente il campione che è stato, con o senza.

‘Santo’ o ‘demonio’ sono etichette che non la possono dire tutta, né in un senso né nell’altro. Di sicuro un uomo, che ha sognato, si è battuto, si è rialzato diverse volte ma quando è stato colpito troppo forte ha gettato la spugna. Ma anche un uomo che ha debolmente ceduto alla droga. Forse più sensibile di altri, ha in qualche modo personificato troppo l’eroe a cui il fato crudele mette i bastoni tra le ruote, e magari non ha percepito alcuna possibilità di riscattarsi. O forse l’orgoglio non gli ha permesso di ammettere errori, e piuttosto di fare mea culpa ha scelto la strada dell’autodistruzione. Per un doloroso scherzo del destino, la sua storia si avvicina a quella dell’americano Lance Armstrong, il quale ha scritto un finale decisamente diverso. Pantani lo incontra nel Tour de France del 2000 dove l’americano, in piena ascesa, dichiara di aver ‘lasciato vincere’ il corridore italiano. ‘Santo Armostrong’ trionferà negli anni seguenti in diversi tour, per poi vedersi tutti i titoli ritirati dopo lo scandalo doping del 2012. La differenza è che lui ha deciso di cavalcare l’onda, di raccontare la sua storia di dopato pentito, mentre Pantani l’ha vissuta in modo strettamente personale, cadendo nell’oblio della depressione e scrivendo una parola fine che a distanza di 10 anni ci fa ancora chiedere cosa sia successo realmente, ma soprattutto perché si è lasciato che accadesse.

Immagine: Marco Pantani 1997 zu Letzebuerg
Foto di Aldo Bolzan – file licenziato in base ai termini della licenza Creative Commons
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