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Luisa, femme fatale solo al cinema

L’attrice volto del  71°Festival di Venezia gioca con l’immagine di diva sensuale ad ogni costo; ma la madrina è un mestiere in crisi? 

Luisa Ranieri
La Presse
Fascino mediterraneo, incarnazione del cinema italiano, icona nostrana. Questi gli aggettivi che descrivono frequentemente Luisa Ranieri, madrina del 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Tuttavia le definizioni a volte sono utili solo per essere infrante, e scavando nel passato e nel presente dell’attrice napoletana, si scopre il divario tra l’immagine di diva provocante e la realtà di donna che tratta la bellezza con intelligenza e il cinema come possibilità concreta di riscoperta di sé. 

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Mentre il Festival scalda i motori, l’interprete di Maldamore di Angelo Longoni, ha recentemente dichiarato che per una consistente parte della propria vita non si è mai considerata attraente, che la timidezza endemica la faceva propendere per un mestiere più riservato e appartato come quello della suora e che attraverso il cinema ha cominciato a guardarsi con gli occhi degli altri fino a vedersi come la maggior parte del mondo la osserva oggi; decisamente affascinante. “Ho capito di piacere attraverso il cinema, – racconta a La Stampa – prima vivevo il mio aspetto come un limite, ero imbevuta di ideologia femminista, volevo essere soprattutto intelligente. Adesso sono più serena, più giocosa, meno vittima del giudizio degli altri”.

Dalle confessioni di Luisa Ranieri sembra quindi riuscire a giocare con l’immagine di femminilità prorompente specialmente adesso che il pubblico e società sono in grado di accettare maggiormente la non aderenza, e spesso anche la totale ribellione, tra aspetto esteriore e interiore, nel cinema e nella vita. 

 
A volte insomma, può essere utile ricordare, a pubblico e ad addetti del settore, specialmente in un ruolo di rappresentanza come quello della madrina, che il divario tra ruoli interpretati, fisicità e percorso personale, può essere a volte decisamente ampio e che giocare con le aspettative dello spettatore e del sistema è l’ultima risorsa di chi non vuole rimanere succube della celebrità. “Il mio corpo così prorompente non corrisponde per nulla al mio carattere. Non sono una vamp, non sono una cacciatrice di uomini, non mi sento sexy. – ha dichiarato l’attrice in un’intervista al Corriere della Sera – Forse è per questo che piaccio alle donne. Non si sentono minacciate dalla mia immagine”. 
 
Le parole dell’attrice, celebrano quindi l’indipendenza e pongono la base per qualche riflessione contemporanea sul ruolo e sulla funzione della madrina all’interno dei numerosi festival europei. Del mestiere dell’attore sappiamo che spesso nella frattura tra immagine pubblica e privata, aspetto fisico e modo di essere, oscillano i timori delle celebrità e hanno sede le paure più insistenti di chi ha scelto il palcoscenico come mestiere principale. In questa direzione, la via d’uscita dal peso di uno stereotipo pesante legato al fisico o a un ruolo interpretato di recente, sembra essere il ritorno alla propria dimensione personale, proprio dopo che un lungo viaggio ha portato l’attore a un impegnativo allontanamento dovuto al personaggio.

È forse per questo motivo, che il mestiere della madrina, come quello della valletta e infine della velina, tradizionalmente afono e concentrato spesso sullo stereotipo in cellulosa, accende il dibattito sulla possibilità che questo tipo di ruolo rinforzi piuttosto che indebolire, la distanza tra immagine e modo di essere, tra fisicità e identità. Sarà il segno dei tempi, ma le architetture dei festival europei cominciano a modificare le proprie strutture gerarchiche per lasciare posto a nuovi esperimenti. Lo ha fatto già Cannes, dove quest’anno la madrina tradizionale è sparita lasciando posto a un maestro di cerimonie di eccezione come Lambert Wilson. E anche Venezia, scegliendo una madrina “atipica”, sincera e ironica, potrebbe presto rivoluzionare una figura che è spesso fonte di dubbi e polemiche. 

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