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Ciao women’s day; ma è scontro sui fondi per i centri antiviolenza

Poche risorse e mal indirizzate; il movimento femminile e D.i.Re denunciano l’inadeguatezza delle politiche governative in termini di contrasto alla violenza di genere

Manifestazione
La Presse
La violenza sulle donne è un tema sul quale si misura il grado di civiltà di una società”. Con queste parole il Presidente del Senato Pietro Grasso inaugura il convegno internazionale sul tema organizzato per il 25 novembre da D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza. Tuttavia, nonostante la giornata dedicata ad appelli e celebrazioni, i rapporti tra il mondo dell’associazionismo femminile e le Istituzioni, sono tutt’altro che pacifici. 
 
Al centro di una disputa accesa che vede schierarsi da una parte, i centri antiviolenza e dall’altra, il Governo, ci sono i criteri di ripartizione dei 17 milioni di euro stanziati dalla legge 119/2013 per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne. Come denuncia Titti Carrano, presidentessa dell’associazione nazionale D.i.Re e coordinatrice della rete nazionale che accoglie 70 centri non istituzionali su un totale di circa 100 strutture presenti sul territorio, sia la percentuale dei fondi destinati al sostentamento dei centri stessi, sia i requisiti minimi per l’accesso alle risorse, denoterebbero una cattiva gestione delle risorse, perlopiù indirizzate ai servizi regionali che fino ad ora non si sono certo caratterizzati per le buone pratiche in termini di contrasto alla violenza.
Un primato il mondo dell’associazionismo può tuttavia rivendicarlo. A partire dagli anni ’90, i centri antiviolenza, sono stati i primi organismi in Italia a elaborare luoghi e servizi specifici per contrastare la violenza sulle donne. Un lavoro prezioso nato in seno al movimento femminista che si è distinto per due approcci innovativi in tema di violenza di genere. Sono state le associazioni spontanee di donne a riconoscere la radice culturale della violenza e a ripensare le politiche di intervento in maniera strutturale piuttosto che emergenziale, per poi brevettare protocolli di azione che ancora oggi si dimostrano di indiscussa efficacia. Del ruolo prezioso delle organizzazioni e dell’apporto originale che l’attivismo introduce nella lotta al femminicidio, sembra dimenticarsi proprio in questi giorni il Governo.
 
Motivo del duro confronto, sarebbe infatti l’entità dei fondi erogati a sostegno dei centri e non solo. Secondo quanto denunciato dall’Associazione, la prima anomalia riguarderebbe il numero degli operatori tra i quali dividere il 20% dello stanziamento totale. Secondo la legge 119/2013, la somma complessiva delle risorse destinate ai centri antiviolenza e alle case rifugio è pari a 2,26 milioni di euro. La criticità interesserebbe però il numero degli enti destinatari dei finanziamenti pubblici. Questi ultimi sono infatti inseriti in un elenco unico che non terrebbe conto della distinzione necessaria tra enti pubblici, già destinatari di risorse, e privati, oltre a ignorare la natura specifica dei centri antiviolenza. Il decreto prevede che le risorse destinate ai centri siano distribuite su 352 organismi differenti, mentre per l’Associazione sarebbero circa una centinaia quelli che da anni trattano la violenza in via prioritaria e specializzata. 
 
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In particolare, la somma così ripartita, fornirebbe a ciascun organismo circa 3000 euro per ognuno dei due anni previsti dalla copertura chiarita dal decreto. Una somma esigua che secondo D.i.Re non sarebbe sufficiente nemmeno al pagamento delle utenze e che smentirebbe l’impegno del Governo sul fronte dell’applicazione dell’articolo 8 della Convenzione di Istanbul per la lotta e la prevenzione contro la violenza sulle donne. 

 
E i restanti circa 15 milioni previsti dalla legge? Anche qui si contesta la decisione di privilegiare la nascita di nuove strutture istituzionali e il potenziamento di quelle già esistenti, la maggior parte delle quali appaiono dedicate al trattamento di situazioni di disagio generiche. Il 33% del Fondo sarebbe infatti destinato alla creazione di nuovi enti istituzionali sul territorio, mentre la somma rimanente, è per l’80% indirizzata al potenziamento delle strutture già attive, oltre al restante 20% già stabilito per i centri antiviolenza. 
 
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Infine, le modalità di accesso ai finanziamenti pubblici, la cui competenza rimane in ultima istanza regionale. Nella Conferenza Unificata del prossimo 27 novembre, saranno sottoscritti i requisiti minimi strutturali e organizzativi per accedere ai fondi erogati nel 2015. Il documento, come anticipa l’associazione D.i.Re, introdurrebbe alcuni criteri molto stringenti per i centri antiviolenza, come numeri attivi 24 ore su 24 e apertura di cinque giorni alla settimana. Tutte regole alle quali molti centri non potrebbero adempiere autonomamente vista la criticità delle condizioni economiche e l’esiguità dei finanziamenti previsti. La critica insomma è a un certo tipo di politica che parla in rosa e agisce invece secondo un’altra sfumatura.