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Crespi d’Adda, realtà d’altri tempi

E’ il più completo e meglio conservato esempio di villaggio industriale, che ancora oggi riporta indietro nel tempo: Crespi d’Adda si rivela al visitatore come nell’Ottocento

Crespi d'Adda
©Comune di Capriate San Gervasio / Crespi d’Adda Unesco

In provincia di Bergamo, sulle rive del fiume Adda, sorge un luogo che racchiude in se qualcosa di magico, quasi fosse un set cinematografico, dove il tempo scorre lento, nonostante si tratti di una realtà industriale. Chi conosce la zona ha capito che stiamo parlando di Crespi d’Adda, una realtà pressochè unica, tanto da essere entrata a buon diritto nella lista dei Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco per essere “un eccezionale esempio del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”. Si tratta infatti di un villaggio ideale del lavoro, quasi un piccolo feudo dove si percepisce ancora oggi che la dimora del padrone era si simbolo di autorità, ma anche di benevolenza verso i lavoratori e le loro famiglie.

La storia del Villaggio Crespi inizia nel 1878 grazie all’opera di Cristoforo Crespi che, vagando per il territorio bergamasco, decise di costruire in prossimità di Capriate San Gervasio uno stabilimento per la filatura di cotone e diede vita a questo piccolo mondo perfetto, dove veniva garantita ai dipendenti una serie di servizi e strutture che rendevano la vita più semplice, spingendo le persone a non allontanarsi da Crespi. Le giornate, infatti, si vivevano interamente nel villaggio, che offriva la scuola gratuita, l’asilo, la piscina, il lavatoio, la chiesa, il dopolavoro fino anche al cimitero, dove svetta il monumento funebre a piramide della Famiglia Crespi. Ad ogni famiglia era fornita una villetta con orto e giardino: di queste alcune sono ancora oggi abitate da una piccola comunità di discendenti dei lavoratori di allora, anche se lo stabilimento ha cessato del tutto l’attività nel 2003. Quello che fa riflettere è come, sul finire dell’Ottocento, il Villaggio Crespi fosse un esempio innovativo che guardava al futuro, dove le maestranze della fabbrica potevano trovare tutto ciò che serviva loro e per il benessere delle proprie famiglie, in un’epoca in cui lo Stato non era affatto in grado di fornire tutele e servizi indispensabili.

L’ingresso al cotonificio è l’immagine più rappresentativa e più conosciuta dai visitatori, con la ciminiera, le palazzine dirigenziali e il cancello in ferro battuto che creano una particolare composizione, simbolo dell’architettura industriale. C’è poi il lungo viale dove si affacciano i capannoni che, in un’affascinante prospettiva, si mostrano con le eleganti decorazioni in cotto e mattoni. Simile ad un castello è la villa padronale, che sorge imponente quasi a ricordare un castello medievale che impera sulle file delle case operaie, disposte ordinatamente: il figlio del fondatore, Silvio Crespi, suggerì di imitare le abitazioni operaie inglesi e per questo risultavano essere soluzioni abitative d’avanguardia. A direttori, capireparto ed impiegati erano invece assegnate le ville: estrose, eleganti, in stile un po’eclettico, completano il quadro d’insieme di questo spaccato di vita passata rimasto cosi intatto fino ai nostri giorni.

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