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A Venezia un vento di follia totale solleva Osvaldo Licini

La Collezione Guggenheim celebra il pittore marchigiano Osvaldo Licini con una grande retrospettiva curata da Luca Massimo Barbero

Osvaldo Licini
©Matteo De Fina

A distanza di 60 anni dalla scomparsa di Osvaldo Licini la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ricorda il grande maestro. Si tratta della retrospettiva “Che un vento di follia totale mi sollevi”, a cura di Luca Massimo Barbero. Undici sale espositive, oltre cento opere, ripercorrono il dirompente quanto tormentato percorso artistico di questo autore. La carriera di Licini fu caratterizzata da momenti di crisi e cambiamenti stilistici apparentemente repentini. Licini mise al centro della sua ricerca artistica la pittura stessa, con la conseguente incessante e sofferta sperimentazione formale espressa nelle sue opere.

Che un vento di follia totale mi sollevi, allestimento mostra

Osvaldo Licini: la formazione

L’artista si è formato inizialmente in una Bologna ricca di fermenti artistici non solo per la presenza di altri giovani come Giorgio Morandi, ma anche degli artisti futuristi. Licini non si accontenta tuttavia del panorama italiano. Grazie a ripetuti soggiorni a Parigi tra il 1917 e il 1925, diviene ben presto una delle figure italiane più consapevoli degli sviluppi internazionali dell’arte pittorica. Forse anche per questo egli ha progressivamente assunto e difeso una posizione di indipendenza all’interno del panorama artistico italiano. L’artista non aderì mai veramente a movimenti o gruppi. Un’indipendenza, questa, ribadita anche dalla scelta di stabilirsi nell’isolato borgo natio di Monte Vidon Corrado.

Le opere in mostra

Il percorso espositivo prende avvio dai paesaggi marchigiani soggetto della sua prima fase figurativa degli anni ’20. In mostra opere come “Paesaggio con l’uomo” (Montefalcone), del 1926 e “Paesaggio marchigiano” (Il trogolo), del 1928. Queste opere fanno da sfondo allasuccessiva transizione dal realismo all’astrattismo dei primi anni ‘30. E’ il caso ad esempio di “Paesaggio Fantastico” (Il Capro) del 1927. Ricordiamo infatti che nel tentativo di evadere da un’Italia artisticamente dominata sempre più da un realismo supportato dal regime fascista, Licini si volge alla non figurazione. L’artista si inserisce così nel composito clima culturale milanese degli anni ’30 come è evidente in “Castello in aria”, del 1933-36, o “Obelisco”, del 1932.

Che un vento di follia totale mi sollevi, allestimento mostra

La maturità

Presenti in esposizione anche i capolavori della maturità dedicati ai temi dell’Olandese volante, dell’Amalassunta e dell’Angelo ribelle. L’ampia selezione di quadri di Amalassunta in mostra propone al visitatore le molteplici sfaccettature della personalità di Licini. Si va infatti dal lato lirico e contemplativo a quello più ironico e dissacrante. Nelle opere realizzate dal finire degli anni ’40 in poi convergono tematiche, stilemi e il mai risolto rovello della pittura. Tutto ciò fa emergere Licini come un grande protagonista del modernismo italiano e internazionale, confermato dal premio conferitogli pochi mesi prima della morte alla Biennale di Venezia del 1958.

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