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La lavatrice e l’emancipazione femminile

Nell’anniversario del primo brevetto depositato, una riflessione sul ruolo sociale della lavatrice

Lavatrice
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Il 28 marzo 1797 Nathaniel Briggs, americano del New Hampshire, depositò il brevetto di un macchinario antesignano della lavatrice, fissando quella data come anniversario ufficiale dell’elettrodomestico che oggi sta in tutte le case. Egli non fu esattamente l’inventore della lavatrice, le prime ‘apparizioni’ di un macchinario che aiutava a fare il bucato risalgono addirittura alla fine del 1600, e negli anni diversi progettisti e inventori contribuirono ad aggiungere importanti specifiche a quella che diventerà uno degli elettrodomestici più comuni. La storia della sua evoluzione passa per Jacob Christian Schaffers, per Henry Sidgier, la vede in origine come un apparecchio ad azione meccanica, poi elettrica, prima una sorta di tinozza con coperchio, poi negli anni, anche grazie al boom economico e la nuova competizione sul mercato, il design si affina fino a farla diventare quella che è oggi. Evoluzione ancora non terminata, se pensiamo alle funzionalità sempre nuove, alla digitalizzazione, alla classe energetica e via dicendo.

Ma non vogliamo soffermarci sui dettagli di questa evoluzione ancora in corso, quanto piuttosto sul ruolo sociale dell’avvento della lavatrice. Non è difficile imbattersi in studi di carattere sociologico legati agli elettrodomestici, ma secondo molti la lavatrice ebbe più influenza di altri nel modificare la vita, il ruolo, la figura della donna nella società. Dalle tesi di laurea agli articoli di giornale dell’epoca (post-guerra), dagli studi di marketing e comunicazione, al volume di Enrica Asquer – giovane studiosa di storia ‘La rivoluzione candida’, di letteratura in merito ne è stata prodotta.

Perché la lavatrice avrebbe influito sul ruolo della donna più di altre ‘rivoluzioni’ tecnologiche? Ci sono diverse sfumature da considerare, ma in primo luogo è assolutamente certo che la quotidianità della donna cambiò radicalmente con la diffusione di queste macchine. Le donne infatti sino agli anni Cinquanta erano solite occuparsi del bucato in un giorno specifico della settimana, e lo facevano recandosi tutte assieme al fiume o al lavatoio comunale per assolvere questo compito come un rito collettivo. I panni sporchi si lavavano insieme, all’aperto, non certo senza fatica, ma seguendo una sorta di ritualità sociale che si accompagnava a chiacchere e relazioni di amicizia. Poter fare il bucato a casa in un batter d’occhio eliminò un cerimoniale che si perpetuava da secoli. D’altro canto, si trattava anche di un mestiere duro e faticoso, ed ecco l’altro risvolto sociale della lavatrice, quello legato alla comunicazione: la casalinga che d’ora in avanti verrà ritratta come una spensierata bella signora che doveva solo azionare un pulsante per assolvere ai suoi doveri. Le pubblicità d’epoca, agli occhi di oggi spesso agghiaccianti per il modo in cui ritraevano la donna, cominciarono a bombardare le famiglie italiane con l’idea che possedere la lavatrice fosse quasi equivalente ad avere un servitore: niente incombenze, niente fatica, più tempo per sé stesse. Fra l’altro nelle prime pubblicità americane la lavatrice era maschile: ‘A good washer is like a good man’ recitava una réclame del 1963.

Insomma un nuovo risvolto sociale e una nuova immagine mediatica della donna e del suo ruolo: ma la lavatrice non fu considerata universalmente una ‘liberatrice’ delle donne. Diverse femministe ed intellettuali, tra cui Natalia Aspesi, temettero fortemente che si trattasse di una falsa rivoluzione, ovvero si suggeriva alle donne di impegnare il tempo guadagnato in attività comunque lungi dall’aumentare consapevolezza. Se infatti le réclame insistevano sul riacquisito tempo libero, proponevano di ‘riempirlo’ facendosi belle, cucinando per il marito, sorseggiando alcolici, dileggiando la stessa frivolezza che incitavano ad assumere. Il messaggio pareva essere ‘ora avete tempo per svolgere tutte le vostre attività frivole’, piuttosto che ‘avete tempo di studiare, lavorare, emanciparvi’.  Il dibattito sui giornali, soprattutto i femminili, fu acceso.

La lavatrice fu quindi non solo un tassello nell’evoluzione in chiave automatizzata delle nostre case, ma un punto importante di un cambiamento sociale. Se vi interessa l’argomento il volume di Enrica Asquer, ‘La rivoluzione candida. Storia sociale della lavatrice in Italia (1945-1970)’, edito da Carocci, è una lettura interessante, approfondita e ricca di aneddoti curiosi.