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Assia Djebar, la voce delle donne algerine

La giuria del Film Festival di Roma comprende quest’anno una voce femminile dissonante e radicale, quella dell’algerina Assia Djebar

Assia Djebar

Da pochi giorni Roma ha spalancato le porte al suo Festival Internazionale del Film: la gara ha preso il via, dopo la presentazione ufficiale della giuria, scelta con cura dal presidente Gian Luigi Rondi e dal direttore artistico Piera Detassis, presieduta dal regista americano di origine ceca Milos Forman.

Tra i giurati quest’anno troviamo un nome importante, quello dell’algerina Assia Djebar, una protagonista del femminismo in letteratura e al cinema, che da oltre cinquant’anni dedica le sue opere alla condizione e alle lotte delle donne algerine durante il regime coloniale prima, nella lotta di decolonizzazione e nel difficile periodo post-indipendenza dopo.

La storia di Assia Djebar è simile a quella di tanti intellettuali che, originari di paesi del cosiddetto Terzo Mondo, hanno vissuto una vita a cavallo tra culture diverse, quella delle loro origini, della lingua madre (nel caso della Djebar, l’arabo) e quella dell’occidente che si esprime nelle lingue “forti”, inglese e francese soprattutto. Assia Djebar compie i suoi studi in Algeria prima e in Francia poi imparando ad abitare la lingua francese come se fosse una sontuosa casa presa in affitto: lo scopo è quello di raccontare a un pubblico il più ampio possibile le storie delle donne della sua amata Algeria. Sin dal primo, leggendario romanzo, “La soif” (1957), racconta di voci raccolte “seduta sul ciglio della strada, tra la polvere”. Storie di donne zittite dalla violenza della guerra prima e dall’oppressione fondamentalista dopo, ma sempre pronte a ritagliarsi uno spazio di autonomia, persino suicida (come accadeva con le algerine che, durante la guerra, nascondevano ordigni esplosivi sotto i loro veli).

Il cinema ha costituito per la Djebar un capitolo parallelo a quello della scrittura, a cui la scrittrice è approdata con il film “La nouba des femmes du Mont Chenoua”, premiato dalla critica internazionale al Festival del Cinema di Venezia nel 1979, a cui ha fatto seguito “La Zerda ou les chants de l’oubli” (1982). In entrambi i film, Assia Djebar riflette sulla potenza e sulla necessità delle immagini e della parola-suono (contrapposta alla parola scritta) per frantumare il silenzio che spesso incombe sull’universo femminile.

In questi giorni Assia Djebar dovrà valutare a Roma una serie di produzioni cinematografiche diversissime tra loro: la giuria del Festival della capitale sarà sicuramente arricchita dal suo sguardo, uno sguardo femminile radicale e radicato in oltre cinquant’anni di lotte.

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