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Ci vediamo da Mario, prima o poi!

Recita così una delle canzoni più canticchiate di Ligabue. Ritrovarsi da Mario per una birra, chiacchiere tra amici e qualche sguardo malizioso. È un po’ quello che accade nel nuovo film di Pupi Avati, “Gli amici del bar Margherita”, commedia sentimentale, nelle sale dallo scorso weekend.

Pupi Avati e Laura Chiatti
LaPresse

Come capita spesso nei film di Pupi Avati c’è una forte componente nostalgica anche in quest’ultima pellicola. Simpatica amarcord di una Bologna anni ‘50, dell’Italia del boom economico, che pian piano,  dopo le nefandezze della guerra, riprende contatto con l’entusiasmo di vivere. Uno sguardo ai giorni che furono, più che uno sguardo al futuro, che racconta il susseguirsi di momenti tra il cinico e lo spensierato, dove le beffe avevano luogo sempre e comunque in un clima di totale amicizia. E un cast di tutto rispetto: Diego Abatantuono, Laura Chiatti, Fabio De Luigi, Neri Marcorè, Luigi Lo Cascio, Luisa Ranieri, un sorprendente Pierpaolo Zizzi  e  la partecipazione di Gianni Cavina e Katia Ricciarelli.

La storia gira intorno al giovane diciottenne Taddeo,  conosciuto da tutti come “Coso” (Pierpaolo Zizzi), che sogna di entrare a far parte della combriccola del bar Margherita. Con un escamotage Taddeo riuscirà a varcare la soglia del Margherita ed assisterà alle situazioni più strampalate, perfide e bizzarre del posto. Bar riservato esclusivamente agli uomini, dove vige l’inflessibile regola di tenere fuori le donne, le amanti e i figli. Una società a tinte maschili, che lascia alle donne solo l’attributo di figuranti, alle quali è al massimo concesso qualche fischio d’approvazione. Una società, quindi, che vede al mondo delle donne ancora con paura e diffidenza.

È certamente una pellicola autobiografica, come ammette lo stesso regista che dichiara innegabilmente  di rispecchiarsi in Taddeo e nei giovani di quegli anni, con mille sogni nel cassetto e con la sfrontatezza di chi non ha molto da perdere ma tutto da conquistare. È questa forse la differenza più evidente con i giovani di oggi che piuttosto si inquadrano come giovani che non hanno molto da raccontare, schiavi delle follie e delle trasgressioni di questo nuovo millennio, non più affamati di gloria come un tempo.

Un quadro di una gioventù, quella degli anni ‘50, spensierata e a tratti irresponsabile ma certamente non rinunciataria come oggi, con nel cuore tanti sogni e tante speranze. Pupi Avati ha dichiarato di avere nostalgia della Bologna e dell’Italia degli anni della sua gioventù. Si può per certi versi anche essere d’accordo con lui, ma probabilmente siamo anche d’accordo sul fatto che preferiamo di gran lunga viverci le atmosfere da bar dei nostri tempi piuttosto che vivere in una società maschilista, che considera le donne solo come mercanzia o come oggetto di piacere.