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Diritto all’arte

Antagonismo e arte, occupazione di edifici dismessi riconvertiti in atelier d’artista: a Parigi la galassia artistica dell’ underground si esprime attraverso l’azione diretta e la riappropriazione di luoghi per rivendicare il diritto all’arte.

Rivoli, Parigi

Parigi. Sono gli squat d’artista, una rete informale di luoghi occupati, che si estende capillarmente su buona parte della città di Parigi. Ad oggi si possono contare circa venti squat (fa fede il catalogo “F.o.u. – Festival des Ouvertures Utiles” http://festivalfou.blogspot.com/). Questi spazi sono tutti differenti, sia dal punto di vista della composizione sociale e delle persone che lo animano, sia per dimensioni e caratteristiche degli edifici. Da vecchie fabbriche abbandonate come l’Usine Ephémère, lungo il canale di Valmy, a locali commerciali di primo Novecento nel cuore della città, come il Montmorency, a due passi dal Centre Pompidou.

La storia degli squat d’artista ha origini relativamente lontane. I primi appaiono già verso l’inizio degli anni ’80, con l’esperienza di Art Cloche, ma solo a partire dal 2000 cominciano a moltiplicarsi a vista d’occhio, fino a raggiungere una riconoscibilità e una popolarità inedita. Sono occupazioni che nascono sulla base di concrete esigenze sociali, innanzitutto l’impossibilità di sostenere gli affitti esorbitanti degli atelier, in un mercato immobiliare ormai alle stelle.

La mostra “Art et Squats”, organizzata nel 2002 dal Palais de Tokyo, una delle massime istituzioni museali di Parigi, ha contribuito ulteriormente ad avvicinare la conoscenza del fenomeno al grande pubblico, testimoniando allo stesso tempo l’interesse del mercato dell’arte verso l’intercettazione di determinate pratiche estetiche. Oggi gli squat d’artista, o “Squ-Art”, come sono stati rinominati, costituiscono una realtà consolidata nel tessuto sociale della città, importanti laboratori di pratiche artistiche sperimentali, a cui il mondo dell’arte sta guardando con interesse.

A Parigi, si è da poco conclusa la terza edizione del F.o.u. (il cui acronimo in francese sta a significare “pazzo”), che ha coinvolto per due settimane i diversi squat della capitale, ognuno con la sua programmazione, raccordata però da un manifesto comune. Spettacoli di teatro, esposizioni di oggetti d’arte più disparati, pittura, scultura, istallazioni e musica dal vivo si sono alternati anche quest’anno nei diversi quartieri di Parigi.

In particolare, girando per le strade del popolare quartiere di Belleville, una zona che ospita parecchi atelier, saltava all’occhio la mescolanza e la convergenza tra le realtà sociali che abitano il territorio e gli artisti che operano al suo interno. Come se lo squat riuscisse a ristabilire il legame interrotto tra creatività e cooperazione sociale: donne nordafricane hanno cucinato cous cous per centinaia di persone lungo rue Denoyez, mentre ceramisti, serigrafi, fotografi e pittori intervenivano nello spazio circostante, aprendo gli atelier al pubblico ed esponendo i propri oggetti d’arte.

Tiepide giornate di primavera parigina concluse con l’esibizione di molti musicisti dell’underground, tra cui spicca un vero talento, Fantazio e la sua gang, un gruppo in grado di  combinare violoncelli e flauti traversi al ritmo di rap&blues, una contaminazione musicale divertente ed imprevedibile.(www.Fantazio.org). Il festival dura due settimane e si svolge sempre durante la metà di maggio; l’appuntamento per la quarta edizione è da non perdere.