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Barack, uno di noi

Alla cerimonia d’insediamento il 44esimo presidente degli Stati Uniti celebra la vittoria del popolo: “Chi ancora mette in dubbio il potere della nostra democrazia ha avuto le risposte che cercava”.

Barack e Michelle Obama
LaPresse

Lo aspettavano tutti con il fiato sospeso, dopo i fiumi di parole versate durante la lunga corsa alla Casa Bianca, il discorso di un Barack Obama finalmente presidente. Ed il giorno è arrivato, di fronte ad una folla variegata, visibilmente commossa e protagonista di uno speech già definito dai media il migliore di tutta la campagna elettorale. Poche parole, per quanto ben pronunciate, avrebbero potuto impressionare di più dell’immagine stessa del primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti d’America nel giorno del suo insediamento. Eccezion fatta per quel noi, lo stesso che rimbomba nella sterminata platea al coro dello slogan che ha accompagnato l’avventura elettorale: “Yes, we can”.

Un noi ripetuto incessantemente, durante i 20 minuti di discorso, per sottolinearne il destinatario, unico e vero protagonista del tanto atteso ‘cambiamento’: il popolo. E dopo i ringraziamenti al suo team vincente (“il migliore mai messo insieme”), alla famiglia, alla neo-first lady Michelle e alla nonna che lo guarda da lassù, la gratitudine va soprattutto ai cittadini d’America, moltitudine ben più variopinta della bandiera alle sue spalle. Senza di loro, nel paese dove tutto è possibile, niente sarebbe stato possibile. Veder risorgere l’american dream dei padri fondatori e restituirlo al  popolo, dopo anni di governo in cui l’uso sproporzionato della forza in nome della sicurezza ha affossato i diritti fondamentali degli uomini.

Ma questo è solo l’inizio, ammette Obama, e come sempre – nonostante le critiche di chi l’accusa di voler mettere le “mani avanti” – piuttosto che illudere il popolo con facili promesse, confessa l’enormità del compito che spetta a lui come a tutti i cittadini a cui la vittoria appartiene. Menziona le enormi lacune sociali create dai governi precedenti ed ora difficilmente colmabili in un solo mandato, una crisi economica mai vista dai tempi del New Deal, ed estende le sue preoccupazioni anche oltre i confini americani. Allude alla guerra in Iraq, da cui entro un anno prevede il ritiro dell’esercito americano. Al conflitto di Gaza che lo vedrà interlocutore deciso ma imparziale (per la prima volta dopo anni di politica estera filo-israeliana). E poi all’embargo su Cuba, che il neo-presidente ha intenzione di alleggerire, alla chiusura di Guantanamo e al ruolo degli States in un pianeta il cui eco-sistema è seriamente minacciato.

Ne esce un’America consapevole della propria forza ma ridimensionata negli intenti, che si preoccupa del resto del mondo, degli equilibri tra le parti. Un paese che si apre alle diversità, persino a quell’Islam a cui il 44esimo presidente tende oggi la mano, a patto che questi gli sciolga il pugno. Una vittoria partita dal basso, al di fuori dei circoli privilegiati di Washington, conquistata senza i finanziamenti delle lobby, ma grazie al sacrificio di migliaia di volontari, che per 21 mesi hanno creduto nella ‘svolta epocale’. La stessa fiduciosa speranza, dichiara Obama, guiderà questo primo difficile mandato seguendo i valori che lo hanno portato ad essere eletto: onestà, trasparenza ed ascolto. Non solo verso chi lo ha sostenuto ma anche verso quelli che non l’hanno votato, perché lui, ci tiene a ribadirlo, è il presidente di tutti.

Tale speranza non si leggeva da troppo tempo negli occhi degli elettori americani ed il pensiero va inevitabilmente a quel Delano Roosewelt che proprio grazie ad ottimismo e intraprendenza strappò il paese al suo periodo più nero. E a J.F.K., naturalmente, così diretto, innovatore, la cui first lady assomigliava molto a Michelle Obama, non certo per il colore della pelle e nemmeno per il look – osannato in Jaqueline e criticato nell’avvocato Obama – ma per cultura, intelligenza e dedizione verso il carismatico marito. Poco importa se in broccato giallo come al primo giuramento di Barack (ripetuto poi in privato per colpa di un errore nella formula pronunciata dal giudice), o in rosso “Balestra” come vorrebbe lo stilista delle star, basti pensare al ‘tocco’ di Michelle sulla spalla del consorte imbarazzato dalla gaffe per sperare che la Casa Bianca ed il suo nuovo coinquilino siano finalmente… in ‘buone mani’.