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Il Messico senza nuvole di Lydia Cacho

In I demoni dell’Eden la giornalista sudamericana svela la crudezza degli abusi sessuali su donne e minori e spiega perché il sessismo è il vero male da combattere con determinazione

Lydia Cacho
La Presse
Lydia Cacho è una donna che durante la propria carriera professionale ha avuto più di un incubo. Il primo è Jean Succar Kuri, noto uomo d’affari messicano condannato nel 2011 a 112 anni di prigione per i reati di pornografia infantile e traffico di minori. Il secondo ha più di un nome. Ulla, Sonya, oppure Javier; donne e bambini venduti come schiavi del sesso da Cancún a Londra. La giornalista messicana, da più di dieci anni racconta nei suoi libri il dramma della violenza sessuale e della tratta internazionale di esseri umani. Lo fa con la forza della scrittura e attraverso l’ausilio di una visione più ampia che connette il problema degli abusi al sessismo, alla criminalità organizzata e alla fragilità delle istituzioni chiamate a difendere i diritti delle fasce più deboli della popolazione. Per il suo impegno nel campo dei diritti umani, è stata in passato minacciata, torturata, e abusata sessualmente. Ma senza perdere la propria voce. Ed è attraverso quest’ultima che a Roma, in occasione della presentazione italiana di “I demoni dell’Eden” edito da Fandango, esprime le proprie idee sul fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, sulla differenza tra pornografia tradizionale e libertà sessuale e sul perché, nonostante le minacce ricevute, ha scelto di dire no a una vita sotto scorta. 
 
In I demoni dell’Eden lei ricostruisce il substrato culturale sul quale poggiano reati come l’abuso sessuale di minori e la violenza sulle donne. Quanto è importante parlare degli aguzzini piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulle vittime?
È molto importante perché per secoli l’abuso di minori è stato praticamente invisibile. La cultura ha messo a tacere gli abusi e anche i media hanno riprodotto molti di questi vizi. Sono state le donne, anche nel giornalismo, ad aver cambiato il discorso relativo alle violenze, usando una prospettiva molto differente; quella dei diritti umani. Le donne hanno introdotto l’idea che i pedofili non siano delle persone da etichettare semplicemente come malate, come accade sempre più spesso nei giornali, ma adulti che pianificano strutturalmente la violenza su donne e minori. In Italia come in Messico, la violenza domestica viene spesso chiamata dai media, omicidio passionale. Questo è un approccio erroneo, bisognerebbe invece di dire che l’uccisione è avvenuta perché alla donna non è stata riconosciuta l’autonomia di lasciare e andarsene da una relazione che non voleva più. Sta succedendo lo stesso per gli abusi sui minori; ma mentre le donne hanno portato avanti alcune istanze di empowerment contro la violenza domestica, i bambini non sono in grado di difendersi da soli. Viviamo in un’adultocrazia, dove gli adulti hanno inevitabilmente il potere. Quindi quando scrivo cerco di fare entrambe le cose. Parlare delle vittime ma anche spiegare come gli aguzzini agiscono e perché fanno una scelta di violenza contro le donne e contro i bambini. E soprattutto perché la società spesso non li ritiene pienamente responsabili per questo tipo di violenze. 
 
In questo senso la battaglia contro la violenza sulle donne e gli abusi sessuali ha bisogno degli uomini per essere vinta. Com’è possibile coinvolgerli magari spiegando loro che l’idea di concepire le relazioni esclusivamente sulla base di un esercizio di potere è qualcosa che fa male a tutti? 
Questa è una questione molto rilevante. Credo che gli uomini come genere, siano molto irresponsabili. Anche se chiaramente non tutti gli uomini sono delle persone violente, in molti casi il loro silenzio diventa una forma di complicità. La generazione che oggi ha meno di trent’anni sta tuttavia portando avanti molti cambiamenti. Possono veramente essere dei migliori partner, dei migliori padri e possono riuscire a parlare con i loro coetanei per dire che la violenza contro le donne e minori, è qualcosa di profondamente sbagliato. In questo momento però, nonostante le migliori premesse, non riescono a socializzare e a comunicare questa idea. Sono vittime di bullismo da parte di chi etichetta le donne come essere inferiori, e ancora una volta i modelli sono quelli del vecchio sessismo. E gli uomini non sanno come reagire a questo. Ma i ragazzi di dieci o vent’anni, non hanno figure maschili alle quali ispirarsi. Non parlo degli eroi tradizionali, di certi ideali violenti, ma parlo di eroi portatori di valori positivi. Quando lavoro sulle mie inchieste, anche quella condotta sul traffico di esseri umani (nel libro Schiave del potere ndr), cerco di focalizzarmi sui clienti. Non sono esseri per forza violenti, cercano sesso nelle donne e non sono consapevoli del ruolo che giocano nel commercio e nello sfruttamento sessuale. 
 
Spesso si ignora che dietro l’idea accattivante del sesso come strumento di piacere privo di ogni forma di morale, tipica della prostituzione, ci siano storie di sfruttamento sessuale e di abusi. Secondo lei che cos’è oggi la libertà sessuale?
La libertà sessuale è sapere cosa si desidera, di cosa si ha bisogno e avere sufficienti diritti per poter soddisfare questo tipo di necessità. E soprattutto sapere cosa non piace e cosa uomini e donne non hanno il diritto di fare e chiedere. Le donne sono normalmente educate per passare da vergini a persone decisamente ipersessualizzate, anche le adolescenti. Non c’è niente nel mezzo che fornisca una vera educazione sessuale e che sia in grado di guidare la persona attraverso l’erotismo e il desiderio. I teenagers imparano il sesso dalla pornografiama quest’ultima è spesso un ritratto di rapporti di dominio e non di rispetto reciproco. Io credo che la libertà sessuale sia la socialità priva di violenza. E’ un discorso difficile da portare avanti perché chi appartiene all’industria del sesso crede che chiunque sfidi l’idea tradizionale di sessualità stia cercando di fare del moralismo. Non credo ci sia niente di sbagliato nel riportare l’etica e il rispetto delle persone al centro del discorso, perché è una cosa che riconnette l’intera questione ai temi dell’autonomia, dell’autostima e della libertà di scelta. 
 
Il traffico di esseri umani interessa l’Italia e l’Europa?
Fino a sette anni fa l’Italia era considerata secondo le organizzazioni internazionali un luogo di passaggio per le vittime. E questo traffico di persone ha da sempre legami molto solidi con la mafia. E’ la mafia che consente di passare di paese in paese attraverso la fornitura di passaporti falsi. Oggi l’Italia è considerata un paese che sfrutta le donne, specialmente per le persone provenienti dall’Est Europa. La Spagna ha grandissimi problemi da questo punto di vista, ma anche la Germania, un paese che ha legalizzato la prostituzione. Quello che faccio è seguire questo tipo di problematiche, e quello che sta succedendo è che le organizzazioni criminali si muovono sempre di più. La mafia russa come quella italiana, vende gli schiavi del sesso in tutto il mondo, spostandosi in base anche alle tasse alla convenienza economica alle quali sono soggette questo tipo di attività. Per questo la legalizzazione della prostituzione non è una soluzione al problema, le donne continuano a essere sfruttate da chi, per esempio, possiede l’appartamento dove esercitano la professione di sex worker. 
 
Molte lavoratrici del sesso rivendicano la libertà di trasformare la prostituzione in un lavoro. In Germania e Olanda le professioniste cambiano il loro nome da prostitute a sex worker. Lei crede che legalizzare la prostituzione potrebbe essere una soluzione al problema dello sfruttamento sessuale?
Ho intervistato una donna colombiana che si è trasferita in Germania quando aveva diciannove anni. Lì ha incontrato un amico che le ha spiegato quanto potesse essere vantaggioso diventare una sex worker. Adesso ha trent’anni e mi ha raccontato che lavorare come professionista del sesso non è lo stesso che lavorare per esempio in una fattoria nel suo paese, perché si è comunque sfruttate. Dal padrone dell’hotel che ha delle spese e che gestisce tutta l’attività che ruota intorno alle lavoratrici del sesso. C’è tutta una parte di persone che crede ed è a favore della legalizzazione, ma ancora le sex worker in questo campo sono trattate come oggetti sessuali. 
 
C’è poi la questione delle politiche migratorie. Molto spesso queste persone provengono da contesti nei quali le situazioni economiche e sociali sono fortemente sfavorevoli. Tuttavia possono entrare in altri paesi solo illegalmente, ad oggi non esiste un permesso di lavoro concesso per esercitare la professione di sex worker, quindi anche chi decide di fare una scelta di questo tipo è fin dall’inizio vittima della criminalità organizzata…
C’è tutto un movimento che raffigura le sex worker come persone piene di glamour. Un esempio è la serie televisiva The Client List. Mi chiedo chi scriva queste serie, chi le finanzi, perché mostrano la glorificazione della prostituzione come se fosse il mestiere più bello del mondo, con belle ragazze che dispongono del proprio corpo in maniera libera. E’ una bugia, non è una forma di empowerment, lo è per chi è a capo di questo tipo di organizzazioni. E queste persone, secondo la normativa internazionale, sono trafficanti, anche se in molti modi differenti rispetto al passato. Le schiave moderne non hanno catene, ma sono subordinate economicamente, socialmente e a volte anche fisicamente. 
 
Nel 2011 ha vinto l’Olaf Prime Prize insieme a Roberto Saviano per l’impegno dimostrato nel campo dei diritti civili. Qual è in Messico la situazione dei giornalisti che vogliono raccontare la verità e qual è la sua?
La situazione in Messico è complicata, negli ultimi sedici anni molti giornalisti sono stati assassinati per il loro lavoro. Article 19 l’organizzazione inglese che documenta questo tipo di omicidi, ha identificato come la maggior parte di essi siano stati ordinati da politici locali. Io ho avuto una scorta per molto tempo, ma ho deciso di non averla più. Perché erano proprio questi ultimi a spiarmi per questioni di sicurezza ed è stato un argomento del quale ho parlato con Roberto durante il nostro incontro. Avevano registrazioni delle mie conversazioni, foto, tutto ciò che facevo era registrato per questioni di sicurezza. E’ impossibile lavorare come reporter in questo modo. Non sto seduta a una scrivania tutto il giorno. Giro il mondo, parlo con le persone e avere la polizia sempre alle spalle è limitante. Ho detto a Roberto, quando l’ho incontrato in Svezia, per ricevere il premio, che noi stiamo facendo qualcosa di buono per la società, ma siamo trattati dal governo come criminali. Una volta che hai la polizia sempre con te, assomigli a un criminale e non a una persona perbene. E io non sono questo. 
 
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