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Una vita… in punta di piedi

Carla Fracci lancia un appello in difesa della sua arte che sembra avviata verso l’oblio. Dopo una vita al servizio della danza classica, si schiera con le piccole compagnie che lottano per la sopravvivenza.

Carla Fracci

Nel 1946, consigliata da un amico di famiglia, si presenta alle audizioni per i corsi di ballo al Teatro La Scala di Milano. Il suo futuro nella danza è giudicato pallido e incerto dall’illustre commissione, ma  la piccola Carla, di soli 10 anni, viene ammessa per il senso di tenerezza suscitato. D’altro canto il suo impegno non sembra nutrito dalla passione necessaria a quell’arte, notoriamente votata al sacrificio.

Raggiunti i 14 anni, è chiamata ad interpretare il ruolo della “ragazza col mandolino” in “La bella addormentata del bosco” accanto alla celebre protagonista Margot Fonteyn. D’ora in poi la fatica, i sacrifici quotidiani, ogni goccia di sudore gettata sulle tavole di legno sarà motivata da un unico scopo, diventare come lei.

Le soddisfazioni non tardano ad arrivare, accompagnate da un pizzico di fortuna. La dea bendata si presenta nel 1955 sotto le sembianze di “Cenerentola”, lo spettacolo che la vede sostituire Violette Verdy, mattatrice dell’Operà di Parigi. La sera del 31 dicembre, quel tutù di stracci le regala un autentico trionfo ed il 1956 si apre con l’incarico di prima ballerina della “Scala”, a solo due anni dal diploma.

Da qui la carriera è una lunga ascesa dorata. Il coreografo John Cranko la sceglie come protagonista per “Romeo e Giulietta” alla “Fenice” di Venezia e nel ’59 debutta nella parte di Giselle al “Royal Festival Hall” di Londra. Seguono Aurora, Odile/Odette e Swanila.

Le sue eroine fanno il giro del mondo e Carla diventa simbolo di un’espressività romantica di matrice accademica, nella miglior tradizione operistica italiana. Ma lei non si accontenta e lo studio infaticabile continua. Seguono stage avanzati a Parigi, Londra e New York, dove incontra patner d’eccezione, come Rudolph Nureyev, Milhorad Miskovich, Vladimir Vassiliev ed Erik Bruhn.

Alla danza Carla deve anche l’uomo della sua vita, il regista operistico Beppe Menegatti – sposato nel 1962 – e suo figlio Francesco, nato sei anni dopo. La condizione di madre e moglie felice, non compromette la carriera  che, al contrario, diventa sempre più incalzante.

Nel 1974 entra nell’American Ballet Theatre e nell’88 è direttrice del corpo di ballo del S.Carlo di Napoli, un ruolo che in seguito passerà a ricoprire per l’Arena di Verona e per il Teatro Alla Scala della sua Milano. Nuove sfide, testimoni di un talento instancabile che, in barba a chi l’accusa di anacronistico egocentrismo, non accenna ad incrinarsi nonostante l’età avanzata.

Nel 2002 è ancora sul palco ad esibire un corpo di betulla in ruoli che vanno ben oltre la riconosciuta espressività. È il caso dell’”Amleto”, spettacolo innovativo diretto dal marito all’Opera di Roma, in cui interpreta il principe dei sogni in mezzo a un cast di soli uomini. Giri, salti ed evoluzioni mettono a tacere i detrattori che vorrebbero vederla compiere il “passo d’addio”. Da qui la Fracci si dedicherà soprattutto all’insegnamento, alla direzione del corpo di ballo dell’Opera di Roma e al patrocinio di numerose cause umanitarie.

Oggi, superati i 70 anni, s’impegna per la conservazione delle piccole compagnie di balletto dei teatri locali, minacciate dalla penuria di finanziamenti e dall’avvento delle discipline contemporanee. Invocando l’aiuto del governo in favore dei teatri municipali, ricorda alle nuove leve che qualsiasi tentativo che escluda la preparazione di base classica è da considerarsi “velleitario”. Dal canto suo, sogna un’opera di decentramento del balletto in Italia, con una compagnia che raccolga il meglio delle forze nazionali e che sarebbe felice di dirigere.