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Wenders racconta Salgado in Il sale della terra 

Al Festival di Roma il regista tedesco gira un film sulla monumentale storia del fotografo brasiliano

Wim Wenders e Sebastiao Salgado
Wim Wenders e Sebastiao Salgado
Sebastiao Salgado, testa pelata, barba e sopracciglia imbiancate, passa buona parte di Il sale della terra, a raccontare al pubblico, e probabilmente anche a se stesso, il significato che scaturisce dalle proprie fotografie. Lo fa lentamente, con il tono di chi, con rispetto e umiltà, si immerge ancora una volta nelle storie che ha raccontato.
 
Per unire il proprio sguardo di spettatore a quello del fotografo, nato in Brasile, spostatosi a Parigi e vissuto nelle zone più impervie della terra, c’è bisogno di indossare metaforicamente il cappello dell’esploratore. Tutto questo rimanendo a Roma, dove il documentario sulla vita del celebre avventuriero e artista, in uscita nelle sale il 23 ottobre, è stato appena presentato. 
 
Il viaggio per seguire Sebastiao è lungo e comincia con la partenza dalla fazenda di famiglia, dove il piccolo Salgado è cresciuto, per arrivare agli studi di economia condotti a Parigi. Nella capitale francese, il fotografo sperimenta la normalità di un impiego alla World Bank e la chiarezza derivata dal conoscere gli equilibri di potere che regolano il mondo. 
 
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Misurare la distribuzione della ricchezza, non è però la visione di Sebastiao. Quando la moglie Lelia, studiosa di architettura, si compra una macchina fotografica, la necessità di intrappolare la realtà diventa l’unica priorità del giovane Salgado. Da lì, una lunga carriera di avventuriero porterà il fotografo lontano da casa per lungo tempo, anche un anno, per documentare attraverso il mezzo fotografico, l’umanità e i luoghi dimenticati del globo. Dal deserto del Sahel, all’orrore del genocidio ruandese fino alla vita isolata della tribù Yali in Papua Nuova Guinea, Sebastiao è stato testimone dei conflitti più accesi del secolo scorso e dell’oblio della società che sembra dimenticare, proprio nel momento di maggiore fragilità, i propri pilastri più deboli. Un lavoro che comincia nel 1973 e che in molti anni di attività, raccoglie un corpus gigante di opere confluite in sei libri monografici e altrettante mostre ad essi collegate. L’ultima, da titolo Genesi, ha toccato nel 2013 anche la città di Roma con un successo conclamato.

 
In Il sale della terra invece, la storia dell’artista brasiliano, è quella di un’avventura lunga una vita e osservata da un triplice punto di vista sulla stessa materia. A ricostruire gli aspetti significativi di un’esistenza passata a scattare fotografie sugli esseri umani e sugli ecosistemi più remoti del globo, sono, insieme allo stesso Sebastiao, il figlio Juliano e il regista Wim Wenders. Per il primo, il lavoro del padre è stato forse l’oggetto di un’invidia aspra per via dell’allontamento da casa che quest’ultimha causato. Per il secondo, Salgado rappresenta un talento puro di artista che disegna con la luce. L’opera è insomma un ritratto complesso, ma mai complicato, del Salgado artista e uomo, e un’occasione per rivedere le staordinarie fotografie di un’artista senza tempo e senza età.  
 
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