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Sam Buxton: Emotional Design

I micromondi, piccole sculture realizzate con sottili lastre di metallo, rappresentano un editing originale della vita quotidiana a firma del giovane designer londinese, ora alle prese con un nuova e originale opera tutta in vetro.

Sam Buxton

L’appuntamento è all’imbarcadero di San Zaccaria, a
Venezia, intorno a mezzogiorno.  E’ una
splendida giornata di primavera, l’aria è tersa e le acque del Bacino San Marco
si increspano sotto il traffico dei motori di vaporetti e motonavi. Sam è in
tenuta estiva con una bottiglia di acqua sottobraccio. La barca arriva, ci
saltiamo dentro e aspettiamo un bel po’ con le mani sulle paline ad aspettare
che qualcuno porti la bottiglia per il primo brindisi alla salute e i tramezzini.
“E’ un bel cambio di scena passare dalla crazy London a quest’isola” mi dice Sam. “Sto pensando ad
una collaborazione con alcuni artisti di Murano. Solo che non ho intenzione di
arrivare come un alieno con un’idea bella e pronta. L’altro giorno sono andato
a trovare Giorgio, un vero artista. Lavora per una fabbrica del vetro. Non
avevo mai visto qualcosa di simile: la materia ardente, la forma, il colore, le
sfumature, gli effetti. Tutto è sorprendente”. Mentre parla, la barca si
muove. Qualcuno gli dice di fare attenzione perché il passaggio sotto il ponte
è molto basso e Sam Buxton sorride. E’ un ragazzo di 32 anni, uscito dal
college cinque anni fa, che però ha già ottenuto la candidatura al premio come
miglior designer per il 2003 dal Design Museum di Londra, un tempio per gli
addetti ai lavori. I suoi micromondi, piccole sculture realizzate con sottili
lastre di metallo che riproducono scene della vita quotidiana con una
precisione nei dettagli impensabile date le dimensioni ridotte, hanno venduto
oltre 60mila pezzi in tutto il mondo. Le acquistano nei museum shop le persone
comuni che si portano a casa un bel oggetto da osservare con pazienza
perdendosi dentro, ma anche enti e associazioni, come quella dei dentisti del
Nebraska per un’idea originale da regalare, forse, a Natale a tutti gli
iscritti.

“Vorrei realizzare prodotti che abbiano un soggetto
diverso da quello che ci si aspetterebbe considerando la materia prima.
Pensando al vetro, mi viene in mente il corpo umano. Sono interessato alla
biologia del corpo umano, all’immagine medica del corpo, pensa ad esempio alle
lastre dei raggi X o ad altre scansioni. L’idea è di rendere gli organi del
corpo umano belli come le gocce di un lampadario. La cosa è un po’ controversa,
in fondo si tratta più di una scultura”. E proprio qui, lasciati alle
spalle il labirinto dei canali e i palazzi, lungo una di quelle larghe vie
immaginarie che solcano la laguna segnalate a intervalli dalle bricole, a metà
strada tra Venezia e Murano, viene da pensare se esistano mai confini netti, se
ci sia davvero una sottile linea che separa e divide design, arte e produzione
di massa, a parte le definizioni da manuale.

“Mi attrae la confusione tra campi diversi. Negli
ultimi decenni i designer hanno prodotto oggetti confortevoli, pratici, che
migliorano la qualità della vita. A me è stato insegnato un approccio
funzionale: fai questa sedia che è più comoda, è più economica nei costi di
realizzazione. Personalmente sono interessato all’ambiguità insita nel fine
dell’oggetto, alla rottura delle barriere che si ergono tra settori
compartimentati. Sono interessato a mondi diversi, come quello delle compagnie
di telecomunicazioni e dell’information technology per il forte impatto sulla
vita quotidiana nelle città moderne”.

Suona qualche telefonino a ricordarci che viviamo nel XXI
secolo, eppure in questo angolo di mondo dove ci troviamo il ritmo è rimasto
lento. Il lungo tavolo della trattoria sotto il campanile è al sole. Ci
sistemiamo e per fortuna Gianni, il proprietario, decide lui cosa farci
mangiare: si comincia con una lunga sequenza di antipasti, il tutto
accompagnato dal vino ghiacciato. “La confusione nasce alle volte sull’uso
degli oggetti, ma anche sulla maniera in cui sono stati realizzati, a mano o a
macchina. C’è chi si chiede se i miei siano pezzi d’arte, ma le persone comuni
non si domandano queste cose, dicono solo se a loro piacciono o no. A me
interessa l’aspetto emotivo. I miei non sono prodotti in senso classico, sono
opere di emotional design. In verità è un’area molto pericolosa”.

Murano è un piccolo mondo, e Sam dev’essersi già fatto
conoscere. Poco distante un gruppetto di giapponesi, ciascuno con il proprio
sacchetto di souvenir in vetro, imbocca in fila indiana una calle.

“Le persone amano l’acquisto di prodotti che possono
completare. Trovano affascinante l’idea di capire come siano stati realizzati.
E’ l’aspetto cerebrale legato all’intrigo e alla gioia che mi interessa. A
Londra la mia microcity ha suscitato una reazione analoga. Si tratta di un’opera
che rappresenta il mio personale editing della vita quotidiana”. Esposta
per tre mesi in uno spazio esterno del Museo del Design di Londra nel corso di
una mostra che assemblava opere diverse – dai videogiochi ai motori Rolls
Royce, fino ai cappelli di Philip Traecy – la microcity di Buxton, un mondo in
miniatura di metallo, è stato eletto l’oggetto più particolare da parte del
pubblico dei visitatori.

Sam dispone gli ultimi quattro chicchi di riso che restano
sul suo piatto in un ordine estetico, e poi, soddisfatto della sua
composizione, comincia a mangiarne uno ad uno dando l’impressione che si tratti
di piccole perle rare.
“La funzione di un oggetto può essere estesa
ad una più vasta risposta inconscia. Non cerchiamo solo ergonomia o facilità
d’uso di un prodotto. Noi cerchiamo oggetti che soddisfino il nostro bisogno di
felicità, abbiamo bisogno di queste invenzioni per migliorare la nostra
vita”.

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