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Una settimana di bontà

184 tavole di Max Ernst in mostra al Museo D’Orsay di Parigi fino al 13 Settembre. Le inquietudini e le paure di un’Europa tra le due guerre viste attraverso l’occhio poetico e surreale del pittore tedesco.

Max Ernst - autoritratto
LaPresse

“Una settimana di bontà” è il titolo del terzo romanzo-collage di Max Ernst in mostra al Museo D’Orsay di Parigi fino al 13 Settembre. Nato nel 1891 e figlio dell’epoca della rivoluzione dell’immagine, Max Ernst pittore tedesco che appartenne anche al gruppo dei surrealisti francesi, realizza una “Una settimana di bontà” nel 1933, nella fase di pieno surrealismo.

Un romanzo realizzato senza parole e con l’esclusivo utilizzo della tecnica del collage adottata nel campo dell’arte solo ai primi del ‘900. Max Ernst attinge alle incisioni su legno ispirate ai romanzi popolari, alle riviste di scienze naturali ai cataloghi di vendita del XIX secolo ma anche a Sade e a Fantômas, a Doré e Grandville così come alle copertine dei romanzi gialli. Ritaglia le immagini per lui interessanti con minuziosa precisione creando tavole dove la tecnica è camuffata a tal punto che il risultato finale sembra un’incisione originale.

Ogni collage comporta la formazione di un meccanismo che dà origine ad esseri straordinari che si muovono in ambienti incantevoli, in mondi irreali sfidando la comprensione dei sensi e della realtà. “Una settimana di bontà” venne pubblicato nel 1934 in cinque quaderni contenti in tutto 182 collage. 184 sono invece i collage in mostra presso il Museo D’Orsay, testimoni di un’opera realizzata a cavallo tra le due guerre e portatrice di una forte critica della società borghese dell’epoca.

In contrasto con il titolo, potere, violenza, tortura, omicidi e catastrofi costituiscono i temi dominanti delle tavole. Una brutalità che è da mettere in relazione con la preoccupante situazione politica dell’epoca. I timori e gli orrori di un secolo in fiamme vengono mescolati dall’artista con immagini oniriche e poetiche, tratte da miti e da racconti di fate.

Attraverso quest’opera visiva di Max Ernst emergono le potenzialità della tecnica del collage: la manipolazione di immagini tratte da riviste e giornali e la loro decontestualizzazione diventano un’arma poetica di denuncia e critica sociale.

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