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La censura delle immagini nell’era di Internet

Le limitazioni ai tempi del web: i casi più eclatanti degli ultimi tempi, tra censura e polverone mediatico

Lindasy Lohan fotografata da Terry Richardson
©Terry Richardson

E’ un terreno insidioso quello della censura. La limitazione della libertà di espressione, imposta da un’autorità preposta, è quanto di più discrezionale esista. Spesso la storia insegna che ciò che è ritenuto lesivo e non adatto ad essere comunicato in un momento storico, diventa quasi buffo, se non addirittura inconcepibile, qualche decennio dopo. Basta pensare agli scritti degli ‘eretici’ nel periodo dell’Inquisizione, o all’impedimento di diffondere le foto di Hiroshima post-bomba atomica imposto dagli Stati Uniti.

Nell’era dell’iper-digitalizzazione, della comunicazione onnisciente, della diffusione, della riproducibilità, limitare l’uso di uno strumento di divulgazione suona estremamente assurdo. Non solo perché è impensabile che esista un accordo unanime su cosa è considerato censurabile, ma soprattutto perché nel secondo in cui un media è stato prodotto, già ne esistono mille copie.

Galeotto fu il web, che sta dando grande filo da torcere guardiani delle autorità: prova ne sono tantissime, decine di immagini ‘vietate’ ma reperibilissime in rete, con la comodità di un click. Fotografia e censura non vanno proprio d’accordo, e lo sa bene Terry Richardson, che di recente ha alzato un putiferio con le foto pubblicate sul suo sito che ritraggono la ‘cattivissima’ Lindsay Lohan in una simulazione di suicidio. Prima che si abbattesse la scure della censura su queste immagini il fotografo le ha tolte dal sito, ma, guarda un po’, la rete le aveva già ‘rubate’ e pubblicate, moltiplicando esponenzialmente la loro visibilità. Espediente furbissimo non solo per aggirare la censura, ma anche per pubblicizzare il suo lavoro, il provocatorio fotografo di moda non è nuovo alle sanzioni, ma in un modo o nell’altro riesce a spuntarla: il suo video con protagonista una Kate Upton a dir poco sensuale è stato tolto da Youtube alla velocità della luce per i contenuti pornografici. Ma il colosso dei video in rete ha dovuto fare dietro-front, perché la bella Kate non era nuda, e pertanto nessuna policy era stata violata.

Non si tratta di sensualità osé, ma un bacio scandaloso ha costretto Benetton a ritirare una delle immagini della campagna stampa Unhate: parliamo di Papa Benedetto XVI che bacia l’Imam Ahmed Mohamed el-Tayeb. Fotomontaggio naturalmente, ovvia provocazione, creato nel contesto di una campagna volutamente discutibile, eppure il fatto che contemplasse due autorità religiose, per di più uomini, ha fatto gridare ‘allo scandalo’. La fotografia avrebbe ‘urtato la sensibilità dei credenti’, e tale sensibilità l’ha avuta vinta in tribunale.

Nome spesso legato a Benetton è quello di Oliviero Toscani, che di censura se ne intende. Numerosi i suoi scatti controversi, ma per citare un esempio di come l’etica della censura sia fallibile e soprattutto discrezionale, basta pensare alla campagna di advertising del brand RA-RE, che negli Stati Uniti ha vinto un premio mentre in Italia è stata epurata. Il motivo? L’immagine rappresenta una coppia gay sul divano, vestita di tutto punto con la collezione RA-RE e un neonato tra di loro, nudo: la controversia tutta italica nasce dal fatto che l’immagine suggerirebbe l’idea di pedofilia. Idea che negli Stati Uniti non ha scalfito le menti di nessuno, se non forse di qualche accanito conservatore. Ovvia la domanda consequenziale: se la coppia fosse stata etero avrebbe comunque sussurrato all’orecchio l’orrore della pedofilia? Non sarebbe semplicemente stata un’immagine familiare? La motivazione aggiunge che il bambino è nudo senza scopo alcuno, usato come mero ornamento… ma quante pubblicità vi vengono in mente con teneri neonati nudi – tra le braccia di una donna altrettanto svestita?

E se censurare è lecito, quando si oltrepassa il confine tra arte provocatoria e motivazioni politiche? L’esempio arriva dal Giappone, dove il palazzo Nikon di Tokyo ha deciso di revocare la mostra del fotografo Ahn Sehong dedicata alle ‘comfort girl’, le schiave del sesso che in piena Seconda Guerra Mondiale venivano vendute ai soldati dell’esercito nipponico. Donne coreane, indonesiane, cinesi prelevate con la forza dai loro paesi per diventare prostitute, che oggi hanno 80, 90 anni. Attraverso i loro ritratti Sehong ha voluto ricordare una parte di storia truce, oscura, davvero scandalosa (altro che coppie e baci gay), et voilà non gli è stato permesso. Avrà urtato la sensibilità di qualche ex soldato?

E’ comprensibile che qualcuno si senta colpito, urtato, colto nel profondo dei suo valori da una fotografia, eppure inneggiare alla censura ha un che di dittatoriale, odora di libertà di espressione violata, di creatività contaminata in nome di un’etica che non sta certo scritta nella Costituzione, come se si parlasse di reati o atti violenti. Possiamo storcere il naso, ma vietare perché ‘mi urta’ sa davvero di anacronistico ai tempi del web.

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