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Donne che contano anche nella scienza

Oltre il gender gap scientifico, esistono personalità in grado di fare la differenza

Dottoressa donna
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Un caso italiano e un colpo ben assestato a chi vorrebbe le ricercatrici fuori dai posti di comando del progresso scientifico. Di eccellenza femminile nostrana in campo medico e biologico non si parla spesso, ma la Dott.ssa Roberta Benetti del Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche dell’Università di Udine, è una delle figure capaci di fare la differenza. La ricercatrice appartenente al Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche è infatti l’autrice di un importante studio sul tema della lotta al cancro. Nel 2010, insieme al suo team, ha individuato uno dei micro RNA responsabile della crescita del tumore: il miR 335.

Ci si è quindi poi ritrovati quindi nel campo delle ricerca di una possibile cura da affiancare ai trattamenti di chemioterapia, ma come ha precisato la ricercatrice stessa, si è ancora lontani persino dalla semplice sperimentazione. Tuttavia è sicuramente un passo importante per la lotta contro i tumori e a fare notizia, oltre al dato in sé, è il fatto che a condurre la ricerca sia proprio una donna. Infatti il gender gap in campo scientifico è una realtà del settore.

Secondo i dati diffusi nel 2012 dall’UIS (Unesco Institute for Statistics), la percentuale delle ricercatrici italiane si attesta intorno al 35%. Un numero, che nonostante documenti una presenza maggiore delle donne durante gli anni della laurea, il 58% contro il 42%, crolla considerevolmente al 35% negli anni successivi al dottorato di ricerca.

Per le figure professionali femminili è insomma difficile accedere, con il procedere dell’età e della carriera professionale, a posizioni apicali. Una difficoltà che è spesso generata dalla sfida di conciliare famiglia e lavoro, in un carico gestionale che spesso pesa molto di più sulla parte femminile della coppia.

Un vero problema sociale per la società, che affligge anche la qualità e la longevità della ricerca, se si considera infatti che studi di questo tipo hanno bisogno di grosse quantità di tempo per essere portati a termine con esattezza. In questo senso quindi, un sistema che penalizza le donne man mano che la carriera avanza, rischia di ridurre drasticamente la percentuale di apporto scientifico che esse possono
produrre in ambito di importanti campi come la lotta al cancro. 

Sono nel 2013 la stessa Dott.ssa Benetti spiegava così il follow-up dello studio al quotidiano Avvenire: “Abbiamo dato seguito alle scoperte del 2010 – spiega Benetti – indagando anche il ruolo del miR-335 nelle cellule staminali e pubblicando una recentissima relazione in cui troviamo, associato a questo miRna, un nuovo “percorso” che sembra anche attivo, al momento, soprattutto nei tumori di origine germinale. Speriamo davvero di continuare nella direzione giusta ma non siamo al punto di poter promettere nulla“.