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AAA cercasi stilista di fama mondiale

L’ultimo è Lanvin. I cambi alla guida delle maison stanno influenzando il prodotto finale? In altre parole, la Moda con la ‘M’ maiuscola sta morendo? 

Modelle in passerella
LaPresse
Non è per far suonare il solito disco rotto del ‘una volta si stava meglio’, ma unendo con un tratto di penna tutti i puntini che segnano i cambi della guardia alla guida creativa delle maison di moda nell’ultimo decennio, ne esce un disegno piuttosto complesso. Un puzzle che rivela come in media ogni 3 anni (o qualcuno di più) le più importanti case di moda abbiano cambiato stilista, in certi casi per volontà aziendale, in altri per desiderio del designer stesso. Solo per citarne alcuni, Frida Giannini ha lasciato Gucci e alla sua guida è arrivato Alessandro Michele, mentre era stata preceduta da Alessandra Facchinetti passata poi a Moncler, Valentino, Pinko – Uniqueness, Tod’s; Heidi Slimane ha rimpiazzato Stefano Pilati alla guida di Saint Laurent, mentre il collega è direttore creativo di Ermenegildo Zegna; tra i più recenti, Raf Simons ha lasciato tutti a bocca aperta con l’annuncio di lasciare Dior, dopo essere succeduto a John Galliano che ora disegna per Margiela (mentre negli anni precedenti era alla guida di Jil Sanders); Alexander Wang ha salutato Balenciaga per dedicarsi alla sue linea personale. 
 
Ultima puntata di questa soap opera di cui è veramente difficile ricordare tutti gli episodi precedenti, Alber Elbaz che lascia Lanvin, annuncio dato pochi giorni dopo la premiazione dello storico stilista (era alla guida della maison da 14 anni) da parte del Fashion Group International’s Night of Stars, serata durante la quale aveva lasciato trapelare qualche disappunto. “Noi designer abbiamo iniziato come couturier con sogni, intuizioni e sentimenti. Poi siamo diventati direttori creativi, quindi dovevamo creare ma anche dirigere. E ora dobbiamo diventare creatori di immagini, assicurarci che un abito venga bene in foto. Lo schermo deve urlare, questa è la regola principale: la vera novità è il chiasso. Il chiasso è ciò che ora è considerato forte, e non solo nella moda. Io preferisco bisbigliare. Credo che il bisbiglio vada più in profondità e duri più a lungo”, ha affermato ricevendo il premio. 
 
Ed è un pensiero che riassume quello che molti addetti ai lavori annusano nell’aria da tempo: il fashion system non sta solo cambiando per esigenze di mercato, per allinearsi alla società contemporanea, per abbracciare le nuove visioni culturali. Sta anche cambiando nell’anima. E l’anima di una maison è il suo stilista. Le storiche case di moda hanno avuto lo stesso couturier, o designer che dir si voglia, per anni, spesso fino alla morte; disegnatore e azienda si fondevano in quello che Vanessa Friedman sul New York Times definisce un matrimonio, nel bene e nel male. E questo consentiva alla maison stessa di avere un’anima, di essere riconoscibile e per tanto affidabile, amata, presa a simbolo. Le donne non hanno bisogno di una borsetta Chanel, la vogliono perché è Chanel. Il fatto che le maison si ‘liberino’ del proprio stilista periodicamente implica che lo stilista stesso si sente legittimato ad andarsene quando le sue necessità lo richiedono; si è creata una flessibilità nel lavoro che sgretola quella che è l’identità della moda, ovvero la firma, il riconoscersi, l’identificazione. 
 
Ne consegue una sorta di ‘divorzio dalle emozioni nel processo creativo, se ai designer non interessa particolarmente del marchio, il marchio non si sente legato al suo designer come accadeva un tempo, quando il nome dell’uno si identificava col nome dell’altro in una identità sartoriale che durava per decadi, il rischio è che anche il consumatore provi le stesse cose’, scrive la Friedman. Proprio Elbaz pochi anni fa, incalzato da domande su un suo presunto divorzio da Lanvin, rispose che lui era il direttore d’orchestra, non poteva certo andarsene così “[Sarebbe come dire ai propri figli] oh ciao la mamma se ne va”. Senza sentimento gli oggetti di moda sono solo ‘cose’, c’è da chiedersi se qualcuno ancora le vorrà, se ancora varrà la pena spendere soldi, tanti soldi, per averle. In fondo non è solo la qualità di materiale e la fattezza, ma l’identità che dà valore e trasforma una ‘cosa’ in ‘oggetto prezioso’. 
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