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Prendi l’Oscar… e scappa

Marion Cotillard, vincitrice della statuetta più ambita di Hollywood, fa infuriare Francia e Usa con le sue teorie “anti-americane”.

Marion Cotillard

Un successo nato dalla passione per Edith Piaf, interpretata nel film “La vie en rose” (Olivier Dahan, 2007), e dall’amore per il musical americano. È quanto dichiara Marion Cotillard a poche ore dalla consegna dell’Oscar come migliore attrice protagonista.  La vittoria lascia a bocca asciutta mostri sacri come Julie Christie (“Away from her”, Sarah Polley, 2006), Cate Blanchet (“Eliszabeth: The Golde Age”, Shekhar Kapur, 2007), Laura Linney (“La famiglia Savage”, Tamara Jenkins, 2007 ) e la 21enne Ellen Page (“Juno”, Jason Reitman, 2007).

Un premio  corollario che si aggiunge al “Bafta” britannico e al “Golden Globe” e che riempie d’orgoglio la settima arte francese per un ruolo in lingua originale. È ciò che accadde al nostro cinema nel ’60, quando la Loren si accaparrò la gloriosa statuetta per “La Ciociara”(Vittorio De Sica). Ed è proprio con la Sophia nazionale che Marion interpreterà il prossimo musical, “Nine” (Bob Marshall), non appena lo sciopero degli sceneggiatori hollywoodiani sarà finito. Ma è solo uno dei tanti copioni che il cinema yankee ha in serbo per lei, ora che l’ha adottata a pieno titolo tra le sue star d’eccezione.

Ma Marion resta legata al suo paese, soprattutto a Parigi, città che l’ha vista sbocciare il 30 settembre del 1975. Cresciuta in una famiglia d’attori, con due fratellini gemelli, interpreta il primo ruolo importante in “Taxxi” (Gérard Pirès, 1998), che la consacra al cinema francese. Seguono “Amami se hai coraggio” (Yann Samuell, 2003), “Una lunga domenica di passioni” (Jean-Pierre Jeunet, 2004) ed “Un’ottima annata” (Ridley Scott, 2006). Ma è nel 2003, con “Big Fish” di Tim Burton, che il cinema americano se ne innamora, ribattenzzandola “The French Connection”. Lei ricambia e intanto insegue il sogno che la accompagna sin da bambina: diventare un’eroina del musical hollywoodiano.

Bersaglio centrato, nonostante le preoccupazioni nel dover vestire i panni  dell’orgoglio nazionale, Edith Piaf. Con sconvolgente naturalismo, Marion dipinge un ritratto intenso ed onesto, guidando lo spettatore nella profonda disperazione che avvolge la leggenda musicale.

Francia e America si uniscono in un lungo applauso, dimenticando i vecchi rancori sulla scia del nuovo feeling inaugurato da Sarkozy. Ma, sarà l’amore per le storie da copione o per la sua attitudine ad occuparsi di tematiche di scottante attualità (è noto, ad esempio, il suo impegno ambientalista con Green Peace), che Marion guasta l’idillio con una gaffe proveniente dal passato in giro in questi giorni su YouTube. Un anno fa accusava l’America su Paris Première, di aver organizzato l’attentato al “Wall Trade Centre”, allo scopo di eliminare la spesa di manutenzione delle Torri. Bin Laden sarebbe stato una copertura e Gorge W un cospiratore in cerca di capri espiatori alla guerra in Iraq e di scuse per alzare i budget militari.

Un’ipotesi che farebbe impallidire persino Michael Moore e che fa infuriare l’Eliseo e gli squali hollywoodiani che vorrebbero privarla della meritata statuetta. La bufera di polemiche, scatenata dalle dichiarazioni dell’attrice, rischia di scaraventarla fuori del firmamento di L.A. Lei si dichiara desolata, anche di aver dubitato che quel 21 luglio 1969 sulla luna ci fosse davvero anima viva. Ma poi aggiunge dignitosa che rinunciare ai cachet miliardari e al prestigio dell’industria culturale non sarebbe un gran danno e che a nutrire il suo talento non sono i soldi ma l’arte coltivata all’ombra della Tour Eiffel.