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Una serata intorno al ring

Gli incontri di muay thai, l’antica boxe thailandese.

Bangkok thai boxe
Courtesy of ©Federico Geremei

La thai boxe? Una sorta di pugilato in cui si possono usare i piedi. Giusto ma molto impreciso. Innanzitutto gli interi arti vengono usati, non solo le estremità. Dunque ok a gomiti e, soprattutto, ginocchia. Le finte, poi, non sono di per sé virtuosismi come sui ring di Rocky: schivare va bene ma attaccare è meglio. La quantità e la varietà di colpi – molto più ampi e acrobatici di quanto s’immagini – sono le variabili determinanti. I giudici ne tengono conto e lo spettacolo, dopo i primi due round di studio dell’avversario, ne guadagna. Terzo – e più importante di tutti: non si chiama thai boxe ma muay thai.

A Bangkok i posti cui assistere agli incontri sono due, il Lumpini (martedì, venerdì sabato) e il Ratchadamnoen (lunedì, mercoledì, giovedì e domenica). Le serate iniziano al tramonto e terminano verso le 23h. Oltre quattro ore, una decina di incontri da mezz’ora l’uno. Si inizia con gli atleti meno noti per terminare con i campioni locali. Un quadrato di cinque metri di lato, i tre giudici intorno, una minuscola orchestra scandisce i ritmi del rituale che precede ogni combattimento.

In Occidente si fa fatica a capire dove e come tracciare le linee tra coreografia e colpi, spettacolo e lotta e quanto marziale possa essere un’arte. Nella muay thai le cose si complicano: la danza propiziatoria è un omaggio alle radici profondissime di questi combattimenti e all’armonia dei colpi. Ne mette in scena un piccolo campionario rallentato e simulato, come le safety instructions degli assistenti di volo sugli aerei prima del decollo. Solo che, poco dopo – rimosse le corone di corde dalla fronte e le ghirlande dal collo – si fa sul serio. Cinque round da tre minuti, i primi due di studio. Il pubblico – centinaia di persone, quasi tutte in piedi – segue distratto le prime fasi dell’incontro poi si anima tutto insieme. Accompagna calci & co con espressioni a squarciagola, un tifo da stadio a tutti gli effetti. E si sbraccia in un complesso sistema di gesti.

Non si vedono soldi sventolati ma segni con le mani, concitazione ed esaltazione. Più Wall Street che uno stadio di boxe. Sul ring continuano a darsele. Quello che conta è fare di più: più colpi, più ferite, più movimento, più veemenza, più tecnica. In pochi secondi il match termina, i giudici consegnano i fogli con i punti, l’arbitro decreta il vincitore (che si mette in posa per la foto) mentre lo sconfitto è già sparito.