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Affinché morte non ci separi

Ogni sabato su Raitre c’è “Amore Criminale”, trasmissione per e sulle donne che parla di omicidi passionali per mano di quegli uomini che un tempo furono la dolce metà delle loro vittime

Amore criminale
LaPresse

Sul mal d’amore quasi tutti hanno qualcosa da dire, perché l’amore è un sentimento talmente complesso e imprevedibile, che non può esimersi dall’avere i suoi lati oscuri.

Quando poi finisce è come se d’improvviso la forza di gravità triplichi e ogni azione diventi faticosa, persino i pensieri sono pesanti. Ma dal mal d’amore si guarisce e non ci sono regole, tempi, libretti d’istruzione. Semplicemente, “si va avanti” e comunque ognuno trova il proprio medico e la propria terapia.

La tempra delle donne, in questo senso, fa scuola: sarà l’istinto materno che si ha anche senza essere madri o l’innato senso di responsabilità, saranno la diversa sensibilità e un’emotività più sfaccettata, sarà forse un qualcosa nascosto nel dna, resta il fatto che le donne, prima di fare veramente del male, ci pensano quell’attimo in più, determinante. Spesso salvifico, almeno per lui, perché una donna che soffre, purtroppo tende a far male a se stessa.

Si stima che ce ne sia una ogni tre giorni. Cioè lo scorso anno sono state ufficialmente 142 le donne uccise dai loro uomini, mariti, compagni, fidanzati, amanti. Spesso in quello che per loro è l’insopportabile ruolo di ex. Abbandono, rifiuto, gelosia, ribellione, sospetto, separazione o una nuova vita con “l’altro” lui: questi i principali moventi.

Dramma nel dramma è che la violenza sulle donne non è solo quella che si conclude tragicamente, ma purtroppo è anche un infame prassi quotidiana, che le fa sentire sole, nascoste, inermi, mute.

Ma che succede alla mente di un essere umano, in questi casi uomo, quando sconfina dal “normale” mal d’amore e giunge ad esiti così tragici e definitivi?

Difficile stabilirlo, ma è quello che Amore Criminale, raccontando, prova a fare. Dopo due stagioni televisivamente andate bene, la trasmissione di Raitre condotta da Camila Raznovich, torna il sabato: sei puntate in palinsesto alle 23.30 e cinque in prima serata.

Ma attenzione non si tratta di processo al maschio, ma bensì un chiaro messaggio lanciato a tutte le donne che si sentono in pericolo: non siete sole, non dovete tacere né avere paura, non fate da sole né sentitevi in colpa, non rimandate.

In tempi in cui si parla di stalking (letteralmente “persecuzione”, cioè condotte e atteggiamenti contro altra persona fino a provocarle stati d’ansia e paura e comprometterne la quotidianità), e i dati sugli stupri dimostrano che il 90% di questi sono ad opera di italiani, il cui 69% all’interno della cerchia familiare (inclusi colleghi, amici e conoscenti), “Amore Criminale” risulta uno strumento utile per la presa coscienza delle donne. Come a dire che quelle vittime possono, paradossalmente, essere d’aiuto ad altre potenziali.

La conduzione di Camila Raznovich, femminile e grintosa al punto giusto, piace, nonostante l’atrocità delle storie raccontate. Appena conclusa la seguitissima edizione di Tatami, Camila ritorna ai temi tragici di Amore Criminale.

Conduttrice evidentemente sensibile al tema, non solo perché donna, ma anche perché lei stessa, come racconta nell’autobiografia “Lo rifarei” uscita nel 2006 per Baldini Castoldi Dalai editore, fu, all’età di nove anni, vittima delle molestie di un pedofilo, guarda a caso, amico di famiglia. Un trauma che, dice, le ha compromesso ogni relazione sentimentale e afferma di aver metabolizzato solo nel momento in cui ne ha parlato.

Amore Criminale, alla cui regia ci sono Matilde D’Errico e Maurizio Iannelli, di puntata in puntata e con un linguaggio misto che si avvale di fiction, materiale documentaristico, repertorio e testimonianze dirette, racconta la storia delle vittime, dall’inizio dell’amore con quello che sarà l’assassino, fino all’inaccettabile epilogo.

Si dice che l’amore renda ciechi e Voltaire lo definisce “un canovaccio fornito dalla natura e ricamato dall’immaginazione”. In questi casi forse è vero: l’uomo che si dice innamorato, pur accecato dalla follia d’amore, immagina, e troppo. Ma non si tratta di fantasia e le donne devono farsi coraggio. Nietzsche disse che ciò che non uccide, fortifica. Da prendere come imperativo, affinché morte non ci separi. Così proprio no.