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Paesaggio sonoro per archi e pianoforte: Balmorhea

Archi e corde per una moderna musica da camera con reminescenze post-rock: i Balmorhea sono una band che vale la pena conoscere

Balmorhea concerto live
Foto di R. Amal Serena - Balmorhea Tour 2011

Non sono molte le occasioni di poter ascoltare un concerto come quello dei Balmorhea in un contesto sufficientemente intimo e raccolto. Il più delle volte, eventi di questo tipo si svolgono in piccoli o grandi auditorium, su palchi che inevitabilmente allontanano lo spettatore dal piacere di osservare la musica prodursi ed emergere – in questo caso – da un collettivo miniale ed acustico: chitarre, pianoforte, contrabbasso, violoncello, viola, percussioni. Non c’è amplificazione che possa rendere fino in fondo la profondità degli strumenti e delle composizioni di una band come questa e, sebbene non si sia trattato esattamente di una scelta – il live era previsto inizialmente all’Init Club di Roma – il palco della Locanda Atlantide ha restituito in pieno l’esperienza musicale suggerita dai 4 album in studio della band.

Attivi dal 2007 – anno in cui il chitarrista Michael Muller e il pianista Rob Lowe hanno autoprodotto il primo album omonimo della band – i Balmorhea, texani di Austen, sono stati immediatamente associati alla scena Post Rock statunitense, oltre che a una miriade di altri riferimenti. Claude Debussy, John Cage, Arvo Pärt, Ludovico Einaudi vengono scomodati in quasi ogni recensione dei loro primi lavori, complice la centralità delicata del pianoforte e la semplice intensità delle composizioni. Tra tutti i possibili riferimenti, però, il più diretto e legittimo è certamente quello ai Rachel’s di Rachel Grime, primo vero ensemble classico concentrato sulla creazione di composizioni brevi, minimaliste, proprie di una moderna “musica da camera”. I Balmorhea calcano un sentiero simile, con il peculiare talento di sapersi rinnovare ad ogni nuovo album, aggiungendo – “per necessità o affinità“, come raccontano loro stessi – nuovi elementi lungo la strada: Dylan Rieck e Aisha Burns a violoncello e violino, Travis Chapman al contrabbasso, Kendall Clark alla batteria.

Abbiamo parlato spesso di quest’evoluzione – racconta Muller – perché non volevamo ripetere costantemente lo stesso sound. Molte band lo fanno, e non è detto che sia un difetto, ma per noi è importante far sì che la continuità non impedisca ad ogni singolo album di essere un qualcosa a sé stante. E non ci interessa scrivere semplicemente delle belle tracce per pianoforte e chitarra“. Da qui i nuovi compagni di strada, e i primi esperimenti con brevi campionamenti da soundscape e l’introduzione di una sezione ritmica, che dal terzo, splendido album della band – All is Wild, All is Silent, del 2009 –  arricchisce ed estende il talento compositivo del duo Muller-Lowe.

Il pregio assoluto di questi musicisti, di questo esperimento, è che nel normale caos movimentato di un locale romano è facile lasciarsi andare all’ascolto puro e semplice del loro lavoro. Brani come Clamor, Winter Circle o Settler, eseguiti con la stessa maestria delle registrazioni in studio, prendono letteralmente per mano l’ascoltatore offrendogli la possibilità di evadere per l’intera durata del concerto. Come in una “colonna sonora piuttosto particolare” – questa la descrizione di Lowe – l’ensemble ci descrive “un mondo di luoghi minimi, personali, privati, e di spazi immensi e irregolari, incontrollabili” – una tensione tra introspezione e scoperta del mondo che fa tornare alla mente le immagini di The Tree of Life, di Terrence Malick. Una complessità compositiva di cui pochi artisti, oggi come oggi, sono capaci.

I Balmorhea sono attualmente in tour europeo, sul sito ufficiale potete consultare le date dei live.

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