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La mia vita è un Inferno

Problemi quotidiani come gironi danteschi. Ecco come risolverli secondo Matteo Rampin, autore del libro “Nel mezzo del casin di nostra vita?”

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Quando Dante scrisse la Divina Commedia aveva 33 anni. Un “pischello” si direbbe oggi, ma nel Medioevo quella era l’età “nel mezzo del cammin della nostra vita”, un punto in cui si doveva fare i conti con ciò che si era riusciti a realizzare. L’essere adulti provoca paura – a ben dire, visti i tempi di crisi in cui ci troviamo – soprattutto perché impariamo a conoscerci e perché molto spesso quello che vediamo non rispecchia ciò che sognavamo di diventare.

‘Saggezza da due spiccioli’, si potrebbe pensare. Ma chi può dire di non essersi mai “smarrito per una selva oscura” perché “la diritta via era smarrita”? E in quanti non hanno pensato di vivere una vita da Inferno? A queste domande può dare una risposta il libro “Nel mezzo del casin di nostra vita? Indizi e tracce per trovare la via d’uscita” edito da Ponte alle Grazie e scritto dallo psichiatra e terapeuta Matteo Rampin. Non il solito saggio su come uscire dai mille inferni in cui cadiamo durante la nostra esistenza, bensì una guida per imparare a capire come si vengono a creare quegli intoppi che spesso noi stessi tendiamo a ingigantire.

In onore al padre della lingua italiana, l’autore paragona trentatré probelmi “umani” ai gironi dell’Inferno di Dante. “Trappole” che creiamo fino a non saperne più uscire ci condannano secondo la legge del contrappasso: spesso sono le cose che pensavamo potessero renderci felici a renderci infelici e la nostra ostinazione nell’ottenerle ci fa credere di non poter più raggiungere il Paradiso (anche se potremmo accontentarci di un “onesto” Purgatorio). È la teoria delle “tentate soluzioni che mantengono il problema”, codificata negli anni ’60 dal celebre Mental Research Institute californiano”, spiega Rampin.

E così lussuria, accidia, invidia, gola, ira, avarizia e superbia vengono analizzati come nostri vizi quotidiani ai quali è possibile trovare rimedio; basta avere qualche accortezza. Non che superare l’infelicità sia un percorso semplice da affrontare con banali stratagemmi, ma di sicuro fermarsi a riflettere può essere d’aiuto per prendersi piccole soddisfazioni che alla lunga giovano sul nostro essere. Un esempio? Il denaro, simbolo del girone degli avari: quella che un tempo veniva denominata “avarizia” oggi è la smania di possedere, lo shopping compulsivo, le condotte fanaticamente volte all’accumulo di beni materiali. Si tratta di una trappola perché avere una cosa ci spinge a desiderarne subito un’altra. Evidentemente, il possesso di un bene non rende felici, mentre il desiderio di possederlo dà un’eccitazione che a volte viene scambiata come benessere. Soluzione: essere avari nel concedersi le cose, così le si apprezzerà di più.

Oppure l’io, simbolo del padre di tutti i vizi: la superbia. L’orgoglio consiste nel sacrificare qualsiasi cosa o persona al soddisfacimento delle nostre esigenze. Oggi è molto in voga lo slogan “fai quello che ti senti di fare”. Peccato che sia un’illusione pericolosa, perché le cose che ci piacciono e che possiamo fare sono pochissime, dal momento che anche gli altri vogliono fare quelle che piacciono loro. Inseguire se stessi a tutti i costi porta all’egoismo, o al culto dell’ego, che è la fonte di ogni infelicità, perché l’unica cosa che rende felici è liberarsi dalla schiavitù dell’ego. Come farlo? Dandosi da fare per migliorare il mondo: dare una mano agli altri, occuparsi degli altri invece che preoccuparsi di se stessi. Rendere felici, rende felici.

E che dire dell’ira? Dal traffico delle strade alla fila alla posta, o semplicemente a casa e in ufficio, l’aggressività si può scatenare in noi in qualsiasi momento, come quando si discute partendo da posizioni contrapposte. Ma è proprio il voler avere ragione a tutti i costi ciò che ci rende ciechi riguardo alle cose che noi stessi stiamo sostenendo. A un certo punto della discussione ci interessa di più che si dica che abbiamo ragione, rispetto all’avere ragione per davvero. In questo modo, però, ci si irrigidisce sempre più, si perde di vista l’obiettivo della disputa e si arriva allo scontro. L’unico risultato è l’insoddisfazione di tutti i contendenti. L’escalation, invece, si risolve arretrando di un passo, dicendo “hai ragione tu” anche se in quel momento non lo pensiamo, e osservando come, di conseguenza, l’interlocutore cambia prospettiva o atteggiamento. In questo modo riusciamo a smontare anche la nostra aggressività e rabbia con l’enorme vantaggio di ottenere una prospettiva più equilibrata.

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