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Madre, bastarda e blasfema

Elif Shafak continua la sua crociata culturale per la liberazione della mentalità islamica nel suo nono libro “Sweet Blasphemy”, in Italia a settembre.

Elif Shafak
LaPresse

Se siete donne multitasking, divise tra lavoro, famiglia e fantasie individuali, forse conoscerete già la scrittrice turca Elif Shafak. Ne avrete letto sui giornali, quando nel 2006 veniva processata in patria per aver scritto “La bastarda di Istanbul” in cui denunciava il genocidio del popolo armeno. O forse vi sarete immerse nelle pagine appassionate della biografia post-parto “Black milk”, in cui sfogava la disperazione di scrittrice neo-mamma che, non riuscendo più a scrivere nemmeno una sillaba, si ritrova a produrre latte acido e nero. Se così fosse, sarete certo in trepidante attesa del suo ultimo romanzo, “Sweet Blasphemy” (in uscita in Italia a settembre per Rizzoli con il titolo “Cuore blasfemo”), testimone di una ritrovata fertilità intellettuale, come sempre alimentata dalla passione per i territori del pensiero, in particolare della filosofia Sufi.

Nata a Strasburgo nel 1971, dopo il divorzio dei genitori si trasferisce con la mamma diplomatica ad Ankara, dove una donna sola, sebbene appartenente all’alta borghesia, non era certo vista di buon occhio. Sarà per questo che, fin da piccola, sviluppa un orgoglio tutto femminile, unito ad una precocissima sensibilità intellettuale nutrita da suggestioni multiculturali. Il futuro non tradisce il suo imprinting da nomade, riservandole una scuola internazionale in Spagna, ed una serie di tappe formative, prima in Giordania, poi in Germania, infine in Arizona, dove periodicamente insegna Letteratura ed esilio e Politiche della memoria.

A 38 anni ha già scritto 9 libri, tra cui “Pinhan”, premio Rumi ‘99 per il miglior lavoro sulla letteratura trascendentale, in cui narra le avventure intellettuali ed emotive di un mistico ermafrodita dell’ordine Sufi. Sullo stesso sfondo filosofico, ma trasferito in un Nord Africa anni ’70, descrive oggi la storia di un tossicodipendente scozzese che si converte al misticismo islamico coinvolgendo anche un nuovo amore americano. Un’altra opera sulle diversità che, a dispetto dei trascorsi giudiziari dell’autrice, fugge la politica, rifugiandosi nella filosofia e trattando la storia individuale come riflesso di un macrocosmo versatile mosso dalle leggi dell’amore.

Un altro tassello letterario intrecciato alla meravigliosa, mistica e complessa, esperienza dell’essere donna oggi, in una Turchia divisa e bloccata dal pregiudizio religioso, con due figli piccoli, una cattedra universitaria, un impiego come sceneggiatrice tv ed una mente prolifica. In patria il suo talento attrae l’amore di un pubblico che divora le sue pagine, ma anche l’incomprensione di una critica che la definisce banalmente “femminista” unita all’odio dei nazionalisti islamici che l’accusano di tradimento culturale. Ma lei rivendica il suo essere ‘plurare’, la tendenza a seguire l’istinto più che le scelte definitive e che le fa sognare di trasferirsi presto in Olanda. E in special modo rivendica il diritto squisitamente intellettuale di oltrepassare le categorie di buono e cattivo, come molti connazionali si aspetterebbero da una moglie, madre e scrittrice di successo.