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A Londra si pratica la Guerrilla Art

Viaggio nell’arte della provocazione londinese: dagli “Young British Artists” alla street art contemporanea

Bansky - stancil a Londra
LaPresse

Girando per le strade di Londra, difficilmente potranno sfuggirvi gli interventi di street art che, in numero sempre maggiore, stanno rivoluzionando il paesaggio urbano. Ma chi sono questi artisti e da dove origina la tradizione della Guerilla Art londinese? Per farsi un’idea occorre andare indietro nel tempo, all’inizio degli anni ’90.

Quando ancora l’Inghilterra non contava granché nello scacchiere dell’arte occidentale, l’allora sconosciuto Damien Hirst lanciò il fenomeno degli “Young British Artists“, un gruppo in cui convergevano giovani artisti provenienti per la maggior parte dalle scuole d’arte. A partire dalla fine degli anni ’80, gli YBA avevano messo in piedi mostre d’arte auto-organizzate, prive della figura del curatore, all’interno di spazi dismessi, come le fabbriche abbandonate del Docklands. Queste mostre, destarono l’attenzione di importanti critici d’arte e collezionisti come Charles Saatchi, che da quel momento avrebbero svolto il ruolo attivo di promotori e mecenati.

Il carattere di questo manipolo di artisti era facilmente distinguibile per l’utilizzo della provocazione, unita ad un approccio sensazionalistico che combinava elementi della Pop Art; l’opera forse più nota è il celebre squalo in formaldeide, ideato proprio da Hirst nel ’91. Nel giro di dieci anni, alcuni appartenenti al movimento “YBA” acquisirono una notorietà senza precedenti. In questo senso è emblematica la carriera di Hirst, di gran lunga il più scaltro tra loro: attraverso un’accurata politica di marketing, Hirst ha venduto opere come “For the Love of God“, un teschio in platino ricoperto di diamanti, alla cifra record di 50.000.000 sterline.

Recentemente un giovane street artist di nome Cartrain, autore di graffiti raffiguranti personaggi della politica e famose catene di fast food, si è trovato, suo malgrado, a doversi confrontare proprio con questo gigante dell’arte contemporanea. La storia comincia quando il diciassettenne, dopo aver venduto in rete alcuni collage con l’immagine deturnata del suo teschio, viene denunciato da Hirst per violazione del copyright. Il collage vengono sequestrati ed il compenso delle vendite devoluto ad Hirst.

Cartrain vuole tuttavia di tenere testa al grande artista, e mette in piedi un’operazione mediatica che inizia con il furto di una scatola di matite da “Pharmacy”, installazione di Hirst ospitata alla Tate Britain. Dopo aver destato l’attenzione del pubblico affiggendo un manifesto che esortava a collaborare al ritrovamento della scatola scomparsa, l’artista è uscito allo scoperto, chiedendo pubblicamente il riscatto (la restituzione dei suoi collage) o le matite sarebbero state temperate. L’epopea si è conclusa con l’arresto di Cartrain e l’incriminazione per danneggiamento dell’opera.

In questa storia consumata a colpi di opere d’arte provocatorie, il giovane street artist è tuttavia quello che ha avuto la meglio, vincendo proprio sul terreno che aveva precedentemente consacrato Hirst: quello dell’arte urbana, povera e provocatoria, che si avvale della guerriglia mediatica per promuove le proprie creazioni.

Gli inglesi hanno fatto tesoro dell’approccio dissacrante derivato dalle avanguardie storiche, per arrivare a consacrare modelli sensazionali e riconoscibili; che questo avvenga sui muri delle strade, mediante gli stancil e le installazioni dell’ormai celebre Banksy, o nelle case d’asta Sotheby’s frequentata da Hirst, poco importa: oggi a Londra la provocazione artistica non solo paga, ma sembra essere diventata la tattica migliore per far parlare di sé.