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L’architettura vivente

L’ultimo libro di Rachel Armstrong spiega come trasformare i nostri edifici in strutture dinamiche capaci di dialogare con l’ambiente

museo quai Branly

Muri in grado di assorbire anidride carbonica e capaci di trasformarla, con benefici per l’atmosfera, edifici dipinti di protocellule, sistemi chimici "quasi viventi" che sentono il proprio ambiente: di questo e di molto altro parla Rachel Armstrong , docente di architettura alla University College London, nel suo ultimo libro-manifesto intitolato "Living Architecture". Nel testo, che è un vademecum sull’architettura vivente e la biologia sintetica applicata al settore edilizio, l’autore immagina il futuro delle nostre città che da "deserti di cemento" potrebbero forse un domani divenire sistemi dinamici più "simili alla vita". L’architettura  potrebbe infatti rispondere in maniera nuova alle sfide ambientali se solo le nostre città fossero dotate di alcune delle proprietà dinamiche che caratterizzano i sistemi viventi. Per arrivarci sarà necessario cambiare il nostro modo di ideare le costruzioni. Applicando all’architettura i principi della biologia sintetica, le nostre strutture potrebbero diventare oggetti viventi capaci di intrattenere relazioni dinamiche con l’ambiente: non più habitat morti, fatti di mattoni e cemento, ma architetture in cui sia reale l’integrazione con sistemi biologici. Un esempio tra tutti? I muri viventi di Patrick Blanc, a Parigi: 15.000 piante di 150 specie che si estendono dal marciapiede alla terrazza del Museé du Quai Branly, il museo più verde del mondo.