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Intervista: al telefono con Matilde Gioli

Il cinema, lo sport, l’amore per la filosofia: la protagonista de “Il capitale umano” è un concentrato di entusiasmo e determinazione

Matilde Gioli
La Presse

Rinunciare agli occhi, al sorriso e all’espressività di Matilde Gioli, contattandola semplicemente al telefono, non significa perdere tutto l’interesse che si è creato attorno al suo debutto di lusso nel bellissimo “Il capitale umano” (che finalmente esce in DVD e Blu-Ray con 01 Distribution). Piuttosto, affidarsi soltanto alla voce della giovanissima attrice, vuol dire salire su un treno in corsa, un convoglio che si muove lungo binari di entusiasmo e determinazione. La sua natura giovane (24 anni) rende il tutto più movimentato. Sono due le immagini che corrono in mente durante la conversazione: quella di un’atleta determinata che aspetta “luce verde” per mettercela tutta e allo stesso tempo una studentessa che si porta i testi di Kant e Hegel sul set per studiare tra una pausa e l’altra. “Mi sono laureata mentre giravo il film con Virzì – racconta a Stile.it – Tendenzialmente sono una lazzarona, ma in questo caso mi reputo fortunata perché è una materia che mi appassiona e alla quale mi piace dedicare tempo”.

La chiamiamo in occasione del premio “Giuseppe De Santis – Giovani” che ha ricevuto al Festival “Lo schermo è donna” di Fiano Romano. Sono passate poche settimane da quando la abbiamo riconosciuta nuovamente sullo schermo: questa volta in un ruolo praticamente silenzioso, una delle puntate più interessanti di “Gomorra – La serie”, dove interpretava la figlia del “commercialista” del clan Savastano. “E’ stata una micro-partecipazione –afferma – Ma mi ha fatto molto piacere per due motivi: uno è stata la possibilità di conoscere gli attori di una serie che trovo meravigliosa, l’altro motivo è stato lavorare nel ‘settore Comencini’. Vedere Francesca dirigere, gestire tutta la troupe e caricarsi di responsabilità mi ha sorpreso. La osservavo con grande fascino: era così tosta che mi ha fatto un grande piacere anche a livello di orgoglio femminile”.


Sono passati diversi mesi da Il capitale umano e questo ruolo continua a regalarti riconoscimenti. Vorrei chiederti cosa ti manca di quell’esperienza: quanto è stato difficile sganciarti da quel set, che è stato il tuo primo?
Sono abituata a sganciarmi. Ho fatto diverse esperienze di vita che me lo hanno imposto: ho praticato sport, sono stata una scout e dunque per me è sempre arrivato il momento di andare avanti. Non è stato uno strappo violento, dopo tre mesi intensi sul set ci siamo sganciati in maniera affettuosa, oggi continuo a restare in contatto con molti amici della troupe.

Da atleta qual è stato l’approccio al mondo del cinema: ti sei ritrovata con le gambe che ti tremavano?
Tendo a essere molto determinata e disciplinata – per anni ho praticato nuoto sincronizzato – ma tutte le volte, al momento dell’esibizione, mi tremano un po’ le gambe. È successo anche sul set di Paolo, del resto era la prima volta che accadeva una cosa così nella mia vita e avevo timore di fare qualche danno ed essere un elemento di svantaggio per la lavorazione. Devo dire però che la parola chiave è stata “delicatezza”: mi sono sentita rispettata e circondata da affetto. È andata liscia, ma questo non significa che non ci sia stata determinazione e disciplina: l’allenamento, la sveglia presto, gli orari, resistere al caldo, al freddo, al sonno, alla fame. Chi se ne frega di queste cose quando si lavora! Alla fine le gambe hanno smesso di tremare.

Possiamo dunque paragonare Paolo Virzì a un allenatore?
Senza dubbio. Mi ha stupito molto la sua preparazione sulla mia generazione: è come se non esistessero età, generazioni o culture particolari, Paolo riesce a cogliere tutto da tutti. Mi ha stupito questa capacità di immedesimarsi in qualsiasi tipo di personalità. Dunque partiva avvantaggiato per la sua genialità, allo stesso tempo, da persona colta, a volte si fermava e diceva: “questa cosa non la so, aiutatemi voi”. È capitato un paio di volte in maniera molto informale.

Sul set sei stata spinta verso grande sofferenza richiesta dal tuo personaggio. Mi chiedo se questa dimensione emotiva ti sia rimasta incollata a livello artistico: in altre parole ti hanno offerto altri ruoli sofferenti?
Al momento non sto girando niente. Ho fatto dei casting, e incontrato altri registi: è vero, mi sono distinta per la capacità di interpretare – a quanto pare in maniera abbastanza efficace – il dolore. Non so se sono in grado di fare altro: non ho studiato recitazione ed è stata la mia unica esperienza. Non so come potrei reagire alle prese con un personaggio di commedia. Eppure, se questa carriera andrà avanti mi piacerebbe spaziare, anche per sorridere un po’. Per il resto vivo in maniera molto serena sia per le cose che mi accadono, sia per quelle che non mi accadono. Mi tengo la mia vita, il mio studio e le mie passioni.

…Ti sei tenuta anche qualcosa dal guardaroba del tuo personaggio?
Sì, ho chiesto un paio di cose a cui ero molto legata. Non mi reputo certo una “fashion victim”, però quei vestiti indossati per il film erano intrisi di tutta l’esperienza e tutti i sentimenti che ho provato in quei tre mesi. Ho chiesto di tenerli: oggi non li indosso, ma so che sono lì e che li ho tenuti. E’ una bella sensazione.

Alla fine di ogni intervista chiedo sempre qual era il poster che avevi in camera da ragazzina?
Quello dei Green Day, perché ero innamorata del cantante. Non li ho mai visti dal vivo però. Sto cominciando adesso ad andare ai concerti, che sono un’esperienza meravigliosa. Me li concedo almeno una volta l’anno. Quest’anno ho comprato i biglietti per vedere i Rolling Stones a Roma.

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