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Ghoncheh Ghavami e i non-diritti delle donne

Il caso della ragazza anglo-iraniana condannata al carcere per aver provato ad assistere ad una partita di pallavolo sposta l’asse dei diritti civili indietro di decenni

Ragazza iraniana condannata
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Un giro di vite bello stretto, una stangata che mira ai diritti civili e li affonda in un solo colpo. La condanna ad un anno di carcere a Ghoncheh Ghavami, una delle ragazze che cercarono di assistere ad una partita della World Cup di volley maschile Iran-Italia, arriva come un fulmine a ciel sereno da chi si aspettava una nuova apertura da parte del regime ora guidato dal presidente ‘moderato’ Rohani, come una certezza da chi non si fa facili illusioni quando si parla di diritti delle donne in Iran. La scarcerazione dell’avvocatessa Nasrin Sotoudeh condannata a 11 anni di prigione (pena ridotta a 6) per aver difeso attivisti, giornalisti e blogger durante le proteste del 2009, aveva fatto sperare in un’apertura democratica del nuovo governo. La tremenda impiccagione di Reyhaneh Jabbari, la giovane condannata per l’omicidio dell’uomo che aveva tentato di stuprarla, ha distrutto ogni speranza. E se non esiste il diritto di difendersi dallo stupro, figuriamoci che peso possono avere i diritti civili più basilari, come la libertà di andare allo stadio.

Il divieto di partecipare alle grandi manifestazioni sportive (inizialmente si parlava solo di calcio) nasce nel 1979 con la rivoluzione islamica Khomeinista, ed è giustificato con la volontà di preservare le donne dalle oscenità degli ambienti sportivi. Già nel 1997 migliaia di donne avevano sfidato il divieto seguendo gli uomini nei festeggiamenti per le qualificazioni dell’Iran ai Mondiali di Calcio, realizzando una momentanea ma storica ‘rivoluzione del calcio’. Ghoncheh Ghavami invece fa parte di un gruppo ristretto di ragazze alle quali nel giugno del 2014 è toccata una sorte peggiore: arrestate, picchiate, incarcerate. Ma la storia della 25enne è più complicata di così, perché il suo passaporto dice che è di origine iraniana, ma anche cittadina britannica: quando torna in questura per reclamare alcuni suoi averi scomparsi durante la detenzione, viene arrestata nuovamente, questa volta per ‘propaganda contro il regime’. Ed è con questa accusa che viene processata, mentre nel frattempo viene vessata la famiglia, messa soqquadro la sua abitazione, sequestrati il suo pc e vari effetti personali, subisce l’isolamento, a cui consegue uno sciopero della fame e una mobilitazione internazionale, una petizione, ma naturalmente viene condannata ad un anno di carcere. Ghoncheh Ghavami si trovava temporaneamente in Iran per insegnare inglese ai bambini, visto che vive stabilmente in Inghilterra, e oggi si ritrova al centro di una questione che va ben oltre il divieto di andare allo stadio, ma parla in senso molto più ampio di diritti delle donne. Probabilmente Ghoncheh è una pedina, come tanti altri condannati lo sono stati, per fare pressione sul Regno Unito (a breve si concluderanno i negoziati sul nucleare), ma anche un messaggio dei ‘falchi’ del regime per mandare un segnale di intransigenza feroce.

In molti sostengono che il giro di vite sui diritti civili sia un messaggio a Rohani stesso, contro la sua apertura, che certo è quasi eufemistica, ma non rispetto all’Iran più fondamentalista, e che le condanne vengano inflitte ancora più aspramente per sottolineare la non-volontà di cambiare in alcuna direzione democratica. E a maggior ragione se di una tale ‘apertura’ possono beneficiare le donne: è di poche settimane fa la tremenda notizia delle giovani sfregiate con l’acido a Isfahan per non aver portato il velo in modo appropriato, e, per quanto il regime neghi la matrice politica, è evidente agli intellettuali e agli studiosi del paese che si tratta di una minaccia a tutte le donne che cercano di emanciparsi e reclamare il diritto a decidere delle loro vite, fosse anche solo con mezzo centimetro di velo spostato.