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Bellezza senza tempo, l’arte del trucco

Labbra rosse per i greci e occhi magnetici per gli egizi: alla scoperta delle pratiche cosmetiche delle antiche civiltà raccontate dal make up artist Rossano De Cesaris

antenati
Courtesy of©Photo_Atelier/iStock

Fondotinta, polveri colorate e rossetti pigmentati da sempre rappresentano un valido aiuto per tutte quelle donne che vogliono migliorare il proprio aspetto e sentirsi più femminili e affascinanti. Non parliamo però di una moda nata in tempi moderni. Il desiderio di valorizzarsi, in realtà, è qualcosa di atavico: soprattutto per le donne. I nostri antenati ne sono una prova.

I segreti beauty dei nostri antenati

Nel corso dei secoli l’uso dei cosmetici, e il loro significato, è decisamente cambiato. Una vera e propria fonte di ispirazione, a tale proposito, è il libro del celebre make-up artist Rossano De CesarisTrucco e bellezza nell’antichità” all’interno del quale, pagina dopo pagina, è possibile concedersi un viaggio a ritroso nel tempo alla scoperta dell’evoluzione delle tecniche e dei prodotti di bellezza nel corso dei secoli.

L’autore infatti, attraverso approfondite ricerche, intrecciando storia, archeologia e letteratura ha illustrato quali fossero i rituali di bellezza seguiti dai differenti popoli del Mediterraneo.

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Egizi, occhi in primo piano

Quando si parla di Egitto, tutti pensano a Cleopatra. La domanda nasce spontanea: quali erano i rituali di bellezza cari alle donne egiziane? A quanto pare prediligevano in primis trattamenti cosmetici finalizzati ad esaltare il candore della pelle: al fine di raggiungere il colorito desiderato si avvalevano del talak, una specie di talco a base di farina di fave e gesso in polvere. Molto diffuso anche l’uso di una polvere giallo ocra molto fine: permetteva di ottenere riflessi dorati. Gli occhi erano decisamente il loro punto di forza. Come venivano evidenziati? Ricorrendo all’uso del kohl. Sottolineare e ingrandire lo sguardo aveva un significato simbolico e non solo ornamentale: aiutava ad aumentare la forza e l’amore insiti nel proprio corpo.

Per quel che concerne la bocca, invece, al fine di colorare le labbra si adoperavano insetti essiccati e triturati, la cui polvere era mescolata a cera di api, olio d’oliva o resine gommose. A quanto pare la regina Cleopatra VII era solita utilizzare un rossetto i cui pigmenti erano ricavati dallo schiacciamento di coleotteri e di formiche rosse.

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Greci, labbra rigorosamente rosse

Come si dice, il troppo stroppia. Calcare troppo la mano, infatti, nell’antica Grecia non era visto di buon occhio: il trucco pesante era etichettato come volgare. Al tempo stesso però trascurarsi era ‘vietato’: proprio così, coloro che non si prendevano cura del loro aspetto venivano multate da speciali magistrati chiamati ‘ginecomi’.

Sulla pelle del volto la donna greca era solita applicare un sottile strato di psimuthion, ossia il bianco di biacca mentre, per valorizzare gli occhi, ricorreva a una combinazione di antimonio, sughero bruciato e fuliggine. Le labbra, rigorosamente rosse, erano ravvivate grazie al miltos, il cui rosso era ottenuto dalla radice dell’Anchusa Tinctoria o da un pigmento rossastro proveniente dal minio (ossido di piombo).

Romani, incarnato chiara come simbolo di eleganza

Anche a Roma, così come ad Atene, gli uomini preferivano tendenzialmente una bellezza femminile al naturale. Quali le loro armi di bellezza? Per il viso ricorrevano a una sorta di fondotinta il cui fine era quello di rendere la pelle chiara. Le gote venivano poi vivacizzate da una polvere di ematite o all’estratto di fucus o ocra rossa.

Gli occhi erano bordati di
 nero avvalendosi di polveri ottenute dalla fuliggine, dal nerofumo di datteri bruciati o addirittura dalle formiche abbrustolite. Per la bocca il rosso era indubbiamente il colore più in voga all’epoca dell’Impero romano. Poteva essere ricavato dalla cocciniglia, dal sangue di piccione oppure dagli stessi molluschi da cui si estraeva la porpora.

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Labbra in primo piano: 10 imperdibili sfumature di rosso

Una curiosità: stando a quanto riporta De Cesaris, Ovidio nel suo “De medicamine faciei femineae”, raccontava che le donne dovevano provvedere al loro abbellimento in privato, lontano dai propri mariti. Le pratiche per il maquillage, infatti, risultavano sgradevoli da osservare.

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